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    Operazione Spade di ferro – giorno 4

    L’attesa

    C’è un tempo sospeso
    fra la decisione e l’azione, fra l’intensione e la realizzazione. Israele vive
    oggi quel tempo. Si piangono i morti (ormai se ne contano 900, orribilmente
    assassinati dai terroristi); si vivono ore di angoscia per i feriti (più di 2000)
    e soprattutto per i rapiti, che sono oltre un centinaio. Emergono immagini
    sconvolgenti della violenza e della crudeltà dell’assalto: stupri, mutilazioni,
    assassini a sangue freddo, vecchi e bambini maltrattati e usati come ostaggi.

    La prossima offensiva

    Le forze armate
    hanno richiamato più di 300 mila riservisti: un numero grandissimo
    (l’equivalente proporzionale per l’Italia sarebbero due milioni), una forza
    molte volte superiore al contingente necessario per entrare a Gaza con la
    giusta superiorità per prevalere in un campo di battaglia difficilissimo. Ma
    Israele ha scelto di essere preparato a resistere vittoriosamente su tutti i
    cinque possibili fronti vicini di guerra o di rivolta: oltre a Gaza, le
    ostilità possono aprirsi in Libano, Siria, territori di Giudea e Samaria
    amministrati dall’Autorità Palestinese, e anche fra la popolazione di arabi
    israeliani, come accadde nel 2021. In realtà vi sono stati sporadici scontri
    solo al confine col Libano, rapidamente cessati – il che significa che almeno per
    ora Hezbollah non vuole davvero unirsi all’aggressione contro Israele. Ma è
    meglio essere vigilanti e pronti. Il comando del fronte interno ha invitato in
    alcuni momenti la popolazione esposta all’aggressione da Gaza e dal Libano a
    stare nei rifugi e ha chiesto a tutti gli israeliani di avere in casa provviste
    per 72 ore in previsione di attacchi generalizzati. Ma per il momento Hamas e
    la Jihad islamica di Gaza sono soli di fronte all’autodifesa israeliana.

    Le reazioni
    internazionali

    Questo isolamento si
    vede anche dalle reazioni della comunità internazionale. Vi è stata una
    dichiarazione congiunta di appoggio delle quattro più importanti potenze
    europee, fra cui l’Italia, molte sono state le manifestazioni e le
    dichiarazioni di politici in tutto il mondo. Sul piano pratico molti paesi e
    anche l’Unione Europea hanno deciso di sospendere gli aiuti economici ai
    palestinesi, che spesso in un modo o nell’altro finanziavano il terrorismo. Gli
    Stati Uniti hanno avvicinato a Israele una flotta, intimato a tutti i nemici di
    non intervenire e iniziato a mandare rifornimenti di armi a Israele; anche la
    Gran Bretagna si è offerta di farlo. È importante che dichiarazioni di
    solidarietà sono a Israele arrivate da paesi arabi che fanno parte dei Patti di
    Abramo (Emirati e Bahrein), mentre l’Arabia Saudita ha sì invitato a evitare
    l’escalation, ostentando neutralità, ma non ha fatto quel che l’Iran vorrebbe,
    cioè dichiarare la rottura del negoziato con Israele. Anche la Turchia ha preso
    un atteggiamento dichiaratamente neutrale, invitando i palestinesi a non
    “molestare” i villaggi israeliani e gli israeliani a non entrare a Gaza –
    comunque assai diversa rispetto al passato. Posizione debole anche quella della
    Russia, che invita tutti a limitare le proprie reazioni. Non vi è comunque una
    campagna di questi stati contro Israele. Anche i partiti arabi israeliani hanno
    dichiaro di opporsi all’aggressione e alla presa di ostaggi. Ad appoggiare, ma
    solo a parole, i terroristi, sono rimasti i soliti: Iran, Qatar, Algeria, Siria,
    i ribelli dello Yemen, Hezbollah, e i movimenti di estrema sinistra in tutto il
    mondo (purtroppo anche in Italia). Non è detto che questo schieramento tenga
    per i giorni molto duri di combattimenti a Gaza che si preparano, ma certamente
    la comunità internazionale ha visto questa volta l’orrore nazista dei crimini
    di Hamas,

    La situazione
    militare

    Il comando
    dell’esercito israeliano ha dichiarato di aver chiuso le brecce aperte dai
    terroristi nella barriera di sicurezza, sicché non ne possono entrare altri. Alcuni
    forse ne restano in territorio israeliano e sono attivamente ricercati. Nelle
    ultime 24 ore, al confine libanese si sono avuti alcuni scontri con terroristi
    provenienti da lì e scambi di colpi di cannone e di incursioni di droni di
    Hezbollah, con alcune perdite da entrambe le parti. Vi è stato qualche
    tentativo subito neutralizzato di attentati in Giudea e Samaria. Su tutto il
    centro e il sud di Israele continuano ad arrivare missili provenienti da Gaza,
    quasi tutti fermati da Iron Dome; ma vi sono stati alcuni impatti diretti con
    danni e qualche vittima. Fra l’altro i terroristi hanno colpito, evidentemente
    senza volere, una moschea vicino a Gerusalemme e anche il territorio di
    Betlemme. L’aviazione israeliana ha continuato a colpire con forza senza precedenti
    i punti di Gaza dove sono presenti i terroristi e le istallazioni delle loro
    organizzazioni. Si tratta di una campagna preventiva che mira a indebolire il
    potere militare di Hamas e della Jihad, come si era fatto nelle operazioni
    passate, ma con maggiore intensità. E però non è possibile fermarsi a questo
    punto, l’aviazione non può raggiungere lo scopo di eliminare l’intera
    organizzazione terrorista che è assai ramificata nella popolazione e in buona
    parte rifugiata nei tunnel sotterranei. Bisogna entrare nelle case e nei
    tunnel, scovare i nemici ed eliminarli. E’ il compito dei prossimi giorni.

    Il quadro politico
    interno

    Di fronte
    all’emergenza, ha dichiarato Netanyahu, non ci sono più divisioni di parte. Si
    prepara un governo di unità nazionale in cui dovrebbe molto probabilmente
    entrare Gantz e forse anche Lapid e Liberman, come ministri senza portafogli,
    con la presenza però nel gabinetto di guerra. Si tratta di un cambiamento
    importante, che si spera alleggerisca anche il quadro politico israeliano per
    il futuro.

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