L’Aeronautica Militare Israeliana (IAF) ha rivelato giovedì i dettagli di una delle operazioni più audaci e complesse mai eseguite dalle forze speciali israeliane. Nel settembre scorso, 120 membri di unità speciali hanno fatto irruzione e distrutto un impianto sotterraneo iraniano per la produzione di missili in Siria.
All’epoca, il regime di Bashar al-Assad era ancora al potere e Israele non aveva ancora dato il via alla sua massiccia campagna contro Hezbollah in Libano. Alcuni dettagli precedentemente riportati dai media stranieri sulla missione si sono rivelati inesatti o parzialmente errati. L’operazione, denominata internamente dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) “Operazione Many Ways”, mirava a distruggere un impianto utilizzato dalle forze iraniane per la produzione di missili di precisione destinati a Hezbollah e al regime siriano.
Il sito, denominato militarmente “Deep Layer”, era stato scavato all’interno di una montagna presso il Centro di Studi e Ricerche Scientifiche (CERS o SSRC) nell’area di Masyaf, a ovest di Hama. Situato a oltre 200 km dal confine israeliano e a circa 45 km dalla costa siriana, il sito era considerato il “progetto di punta” dell’Iran per armare Hezbollah. L’Iran aveva iniziato a pianificare “Deep Layer” nel 2017, dopo un attacco aereo israeliano che aveva distrutto un impianto di produzione di motori per razzi a CERS. Questo sito forniva missili a Hezbollah, alcuni dei quali vennero poi usati per colpire Israele il 9 ottobre 2023, il giorno dopo l’invasione di Hamas nel sud del paese.
Gli attacchi israeliani contro i convogli di armi diretti a Hezbollah spinsero l’Iran a cambiare strategia, costruendo un impianto sotterraneo a prova di bombardamento. La struttura, scavata tra il 2017 e il 2021, si trovava a una profondità compresa tra 70 e 130 metri, ed era progettata per produrre tra i 100 e i 300 missili all’anno, tra cui missili a lungo raggio fino a 300 km, missili guidati di precisione fino a 130 km e razzi a corto raggio tra i 40 e i 70 km. L’impianto aveva una forma a ferro di cavallo, con tre ingressi: uno per le materie prime, uno per l’uscita dei missili e un terzo per la logistica e gli uffici.
L’idea di distruggere l’impianto era stata discussa per anni, ma è diventata concreta con l’inizio della guerra su più fronti. L’unità Shaldag è stata scelta per la missione e ha iniziato un addestramento intensivo due mesi prima dell’attacco. Durante la pianificazione, il principale problema era il superamento delle pesanti porte blindate del sito. Gli agenti di intelligence avevano scoperto la presenza di muletti all’interno della struttura, perciò alcuni soldati israeliani hanno ottenuto certificazioni per l’uso di questi mezzi, in modo da poterli sfruttare per aprire le porte dall’interno.
La sera dell’8 settembre, 100 membri di Shaldag e 20 di Unit 669 sono decollati da una base israeliana a bordo di quattro elicotteri CH-53 “Yasur”. La missione era supportata da due elicotteri d’attacco, 21 caccia, cinque droni e 14 velivoli da ricognizione. Altri 30 velivoli erano in stand-by in Israele.
Gli elicotteri hanno volato a bassa quota sopra il Mediterraneo prima di entrare in Siria. Nel frattempo, aerei da combattimento e navi israeliane hanno colpito diversi obiettivi per distrarre le forze siriane e confondere i radar. La zona di Masyaf aveva la seconda più alta concentrazione di difese aeree della Siria, seconda solo a Damasco, con numerosi radar e sistemi antiaerei. Una volta atterrati, i soldati hanno eliminato due guardie all’ingresso e hanno piazzato droni di sorveglianza per proteggere il perimetro. Dopo circa 50 minuti, un gruppo di soldati è riuscito a forzare una delle porte blindate e ha raggiunto gli ingressi principali. Grazie ai muletti presenti nell’impianto, sono riusciti ad aprire le altre porte. Mentre alcuni soldati piazzavano esplosivi su tutta la linea di produzione, altri hanno impedito l’avvicinamento di forze siriane. In tutto, sono stati utilizzati 49 ordigni dai caccia israeliani per neutralizzare eventuali minacce. Dopo due ore e mezza di operazione, tutti i commando si sono ritirati nella zona di atterraggio. Gli elicotteri sono tornati a prenderli e, mentre decollavano, gli specialisti hanno fatto esplodere le cariche, causando un’enorme deflagrazione paragonabile a una tonnellata di esplosivo. Secondo le testimonianze dei soldati, l’esplosione ha generato un effetto simile a un “piccolo terremoto”.
Attualmente, il sito sotterraneo risulta inutilizzabile e le forze iraniane si sono ritirate dalla Siria dopo la caduta del regime di Assad. Israele considera questa operazione un successo strategico, avendo eliminato una minaccia chiave prima che potesse diventare pienamente operativa.