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    ISRAELE

    Operazione Entebbe: l’eroismo dell’IDF il 4 luglio del 1976

    4 luglio 1976: in questo giorno l’IDF si cimentò in una delle operazioni più eroiche della sua storia contro il terrorismo internazionale. Protagonista un volo Air France decollato il 27 giugno da Tel Aviv e diretto a Parigi. Dopo lo scalo ad Atene, fu dirottato da un gruppo terroristico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (coadiuvato da alcuni terroristi tedeschi): una sosta in Libia, poi l’atterraggio nell’aeroporto internazionale di Entebbe, in Uganda, nell’Africa centro-orientale. Il Paese africano era sotto la presidenza di Idi Amin Dada, uno dei dittatori più sanguinari della storia del continente. Inizialmente, questi aveva avuto un buon rapporto con Israele: vi si era recato per i suoi studi negli anni ’60, quando i due Paesi avevano stretti legami economici. Nel 1971 andò al potere con un colpo di stato, quasi senza spargimento di sangue. Il contesto però mutò rapidamente: quando il governo di Amin Dada assunse toni sempre più autoritari e decise di dichiarare guerra alla Tanzania, Israele negò gli aerei da combattimento e gli altri aiuti richiesti per l’invasione. I rapporti mutarono radicalmente e la posizione anti-israeliana del dittatore africano emerse anche nella storia del dirottamento. Amin, infatti, supportava i terroristi: l’aereo e gli ostaggi erano sorvegliati, oltre che dai dirottatori, anche dall’esercito ugandese.
    I passeggeri vennero sbarcati nel terminal e, sotto il vigile controllo dei terroristi, furono divisi tra ebrei e non ebrei. Fu in questo tragico contesto che Israele, dopo alcuni giorni di negoziati, mise in piedi una delle operazioni antiterrorismo più complesse e delicate della storia. Il governo israeliano inviò un commando: in poche ore il piano fu attuato e i paracadutisti israeliani liberarono gli ostaggi, neutralizzarono i terroristi e riportarono in Israele quasi tutti. I terroristi e i 45 soldati ugandesi vennero uccisi in pochissimo tempo; persero la vita anche tre ostaggi e un militare israeliano, Jonathan Netanyahu, fratello dell’attuale premier, comandante dell’operazione.
    Questa vicenda ha costituito anche un modello di studio per il diritto internazionale, che si è interrogato sulla liceità dell’intervento israeliano in uno stato straniero. Atti coercitivi, come la cattura di un criminale, la liberazione di ostaggi, l’invio di truppe nel territorio di uno Stato, infatti, sono ammessi, ma solo su richiesta dello Stato territoriale. Non fu questo il caso di Entebbe, visto che l’Uganda non solo non diede alcun consenso, ma supportò i terroristi. Tuttavia, l’episodio non è comunque considerato una violazione del diritto internazionale, in quanto può rientrare nella prassi valida per la Legittima Difesa, prevista dall’articolo 51 della Carta ONU e dall’articolo 21 del Progetto della Commissione di Diritto Internazionale del 2001, oltreché dal diritto internazionale consuetudinario. In quell’occasione, il Consiglio di Sicurezza, benché investito da due progetti di risoluzione – uno avanzato da Tanzania, Libia e Benin prevedeva la condanna di Israele per violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Uganda, l’altro, avanzato da Gran Bretagna e Stati Uniti, conteneva una chiara condanna dei dirottamenti aerei e degli atti che minacciano la sicurezza dell’aviazione civile internazionale – non adottò alcuna decisione. La prassi tende inoltre a considerare casi come questo consentiti dal diritto consuetudinario anche in virtù della norma sulla protezione dei cittadini all’estero.

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