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    ISRAELE

    L’eliminazione dei capi terroristi: un grande successo per Israele

    Una straordinaria impresa
    Nel giro di poche ore, Israele ha eliminato due dei capi terroristi più temibili: prima nel bel centro della roccaforte degli Hezbollah a Beirut Fuad Shukr, numero due di Hezbollah, organizzatore della strage dei marines a Beirut del 1983 e da ultimo dell’assassinio di dodici ragazzi drusi quattro giorni fa in Israele; e subito dopo in un palazzo di Teheran Ismail Haniyeh, leader di Hamas in quanto capo del suo ufficio politico. È un risultato impressionante di intelligence e precisione tecnica, che mostra come nessuno, letteralmente nessun nemico di Israele possa pensare di essere immune dal “braccio lungo” dello Stato ebraico, se i suoi crimini diventano insopportabili. Un successo dunque importante che Israele aspettava da tempo. Per capirne appieno il significato è opportuno porsi alcune domande.

    Israele aveva diritti di farlo?
    Assolutamente sì, sulla base della morale e del diritto. I due giustiziati erano capi di organizzazioni terroristiche, responsabili di innumerevoli delitti. Anche prima del 7 ottobre Hamas ha ucciso, rapito, violentato cittadini israeliani e stranieri e Haniyeh come capo dell’organizzazione criminale ne porta la responsabilità ultima. Da nove mesi a questa parte è stato, se non direttamente l’organizzatore, certamente il dirigente politico che ha avvallato, giustificato, ordinato tutto il sangue sparso dai terroristi di Gaza. Anche in termini puramente militari, è il capo della principale fra le bande che stanno facendo la guerra allo stato ebraico e dunque un suo bersaglio legittimo. Shukr, che ha un’immagine molto meno conosciuta, era il vero capo militare di Hezbollah e ha a sua volta le mani sporche del sangue di centinaia di vittime. Anche lui, come comandante di una banda militare che fa la guerra a Israele, è un obiettivo assolutamente legittimo.

    Perché solo ora?
    Netanyahu l’ha spiegato subito dopo la strage dei bambini drusi: si sono superate tutte le linee rosse, Israele non poteva sopportare ulteriormente senza una reazione pesante. Era possibile, è ancora possibile, che si rendesse necessaria un’operazione di terra, che voleva dire una guerra vera e propria in Libano. Israele ha scelto di cercare di evitarla dando un segnale altrettanto forte. Non è detto che funzioni, ma il tentativo di fronte al mondo è di mostrare che Israele vuole la distruzione dei terroristi e non la guerra con gli stati vicini. Bisogna anche aggiungere che probabilmente, quando subito dopo il 7 ottobre Netanyahu aveva promesso che avrebbe dato la caccia ai responsabili della strage fino a eliminarli tutti come era accaduto per i colpevoli dell’eccidio delle Olimpiadi di Monaco, si era dovuto impegnare con gli americani a non colpire Hamas sul territorio del Qatar; ora però Haniyeh aveva pensato bene di andare a Teheran per incontrare il nuovo presidente dopo la morte (su cui forse ora varrebbe la pena di fare qualche pensiero retrospettivo) del suo predecessore Ebrahim Raisi.

    Come si è potuto fare?
    Tradizionalmente ai servizi segreti israeliani si sono attribuite grandissime capacità. Questa fama è stata messa in dubbio dal fallimento del 7 ottobre, che però ha coinvolto soprattutto il servizio informazioni militari (“Haman”) e quello interno (lo “Shin Bet”), i quali non hanno compreso fino all’ultimo la minaccia in corso. Il Mossad non è competente su Gaza, si occupa di spionaggio e operazioni internazionali a largo raggio; ancora una volta ha dimostrato la sua straordinaria efficacia. Sapere esattamente in che stanza di un edificio di Teheran dormisse Hanyeh o dove si svolgesse la riunione con gli iraniani di Shukr, come per altre operazioni analoghe precedenti, implica una capacità di penetrazione straordinaria negli apparati di sicurezza dei terroristi, o apparati tecnologici di localizzazione al di là dell’immaginabile; poi c’è stata l’esecuzione, con aerei o droni che hanno violato in profondità il territorio nemico, anche un luogo sorvegliatissimo come Teheran, sparando missili a corto raggio esattamente sul bersaglio e sono tornati indietro senza lasciare tracce.

    Questa strategia di eliminazioni può portare alla vittoria?
    Purtroppo è improbabile. I capi terroristi non escono da accademie e studi sofisticati, si formano sul campo e sono selezionati per il loro fanatismo. Probabilmente non mentono quando dicono di non aver paura della morte, anzi di amarla come gli israeliani amano la vita. Se sono eliminati l’organizzazione perde esperienza, rete di rapporti, autorità, pianificazioni segrete in corso; ma trovare chi li sostituisce purtroppo non è difficile. Chi dice che Israele doveva subito eliminare i capi nemici e non entrare a Gaza non capisce che allora e anche ora la vittoria sul campo, l’eliminazione del potenziale militare dei terroristi è essenziale.

    Che succede ora?
    Difficile dirlo. Ci potrebbe essere una guerra col Libano, forse anche una guerra regionale se l’Iran cercherà di vendicare lo sgarro subito con l’eliminazione di Haniyeh nella sua capitale. È improbabile però, se si considera quel che è accaduto per esempio ad aprile, quando Israele giustiziò a Damasco il suo generale responsabile per la guerra a Israele, Mohammad Reza Zahedi: il tentativo iraniano di massiccia rappresaglia missilistica fallì miseramente, coprendo gli ayatollah di vergogna. E poi misteriosamente morì anche Raisi. Un’altra possibilità simmetrica è che Hamas e Hezbollah capiscano che a continuare la guerra con Israele hanno solo da perdere e che si mettano seriamente sul tavolo delle trattative, per esempio negoziando la garanzia della vita dei loro capi e il loro esilio (o per Hezbollah, il ritiro sulle linee della delibera dell’Onu del 2006) in cambio della liberazione dei rapiti e della consegna delle armi. Anche questa è una soluzione improbabile, purtroppo. Quel che più probabilmente accadrà nell’immediato futuro è che ci sarà una fiammata di lanci missilistici e di tentativi di rappresaglia, non così gravi da portare alla guerra aperta, e che Israele andrà avanti nella ripulitura di Gaza e nel compito assai più difficile di liberare il Nord dalla minaccia di Hezbollah.

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