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    ISRAELE

    Naama Levy, sola in un tunnel durante la prigionia: le ferite psicologiche degli ostaggi analizzate dall’esperta

    Naama Levy, una delle ragazze rapite da Hamas rilasciate sabato scorso, ha trascorso mesi da sola in un tunnel, secondo un’intervista di 103FM con la dottoressa Einat Yehene, capo della riabilitazione nella divisione sanitaria del Forum delle famiglie degli ostaggi. Durante l’intervista la dottoressa ha rivelato dettagli sugli ostaggi rilasciati e sul loro processo di riabilitazione. “Non parlerò della loro condizione specifica, anche perché molte cose non sono immediatamente visibili, né fisicamente né mentalmente”, ha detto Yehene, neuropsicologa esperta in traumi e incaricata di seguire gli ex ostaggi nella riabilitazione.

    “Hamas si è assicurato di mettere in scena il rilascio nel migliore dei modi: i bravi soldati, i certificati e tutti gli applausi che riempivano la piazza. Le ragazze hanno mostrato un’incredibile resilienza e sono felice che siano state collaborative alla messinscena. Il tutto per sopravvivere e tornare a casa. Questo è un trauma complesso esposto ad uno stress costante- ha continuato la dottoressa – Per quanto riguarda le soldatesse, siamo stati testimoni delle immagini orribili del loro rapimento, compresa l’uccisione dei loro compagni. Ora sappiamo della loro prigionia prolungata. Abbiamo compreso che Naama ha trascorso mesi da sola in un tunnel e quando è riuscita ad uscire, non sapeva se fosse ancora viva. C’era un senso di distacco dalla realtà. Ha anche detto che anche il momento del loro rilascio è stato molto difficile.

    L’immagine idilliaca del loro ritorno a casa non è la realtà, ha spiegato la dottoressa Yehene. “Questa non è la realtà, la vita vera per gli ex ostaggi arriva dopo. Trascorsi i primi giorni in cui il carnevale mediatico finisce, bisogna poi fare i conti con la realtà e con le loro cicatrici psicologiche”. La dottoressa Yehene ha già lavorato con ostaggi rilasciati da precedenti scambi, e le sue conclusioni non sono affatto ottimistiche: “Quello che sappiamo delle persone che hanno trascorso tanti giorni in cattività è che nessuno di loro si è mai ritrovato nel mondo che l’attendeva a casa. L’integrazione è difficile e le persone portano sintomi post-traumatici complessi. Alcuni dei prigionieri vanno in giro con i cani da terapia, alcuni non possono andare da nessuna parte senza i membri della famiglia. Hanno anche carenze nutrizionali e un senso di alienazione. In più, sono convinta che fino a quando tutti gli ostaggi non torneranno, non saranno in grado di riabilitarsi completamente”, ha aggiunto la donna.

    Secondo la sua ricerca, la piena riabilitazione non può avvenire senza il ritorno di tutti gli ostaggi a casa.  “Una cosa che spicca come elemento centrale è che finché ci saranno ostaggi a Gaza, questa lotta non finirà, e fino a quando non torneranno tutti, non ci sarà una piena riabilitazione né per gli ex prigionieri né per la popolazione israeliana. Le cicatrici psicologiche persisteranno” ha concluso la neuropsicologa.

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