Gli spari contro l’Onu
Come hanno riportato tutti i giornali (ma con pochissima evidenza) l’altro giorno sei missili sparati da Hezbollah hanno colpito una base delle forze Onu nel Libano meridionale, ferendo alcuni militari del Ghana. Dato che questa è un’aggressione diretta, si tratta di un episodio ben più grave delle azioni che l’esercito israeliano aveva compiuto qualche settimana fa non contro i militari dell’Onu ma contro i loro apparati elettronici e fisici di sorveglianza (torrette, telecamere, un cancello). La ragione di questo episodio è il fatto ampiamente documentato che le attrezzature dell’Onu erano sfruttate dai terroristi di Hezbollah, i quali avevano costruito caserme, punti di tiro, depositi d’armi e addirittura campi di addestramento a pochi passi dalle postazioni dell’Onu e sotto i loro occhi. Ma mentre in quel caso l’episodio era finito nei titoli di testa di tutti i giornali, vi erano state dichiarazioni durissime del ministro della Difesa Crosetto e anche del Presidente della Repubblica Mattarella, questa volta l’attacco di Hezbollah è passato praticamente inosservato. Crosetto ha di nuovo accusato l’esercito israeliano, senza nessuna giustificazione concreta; il Ministro degli Esteri Tajani l’ha corretto con una dichiarazione piuttosto sconcertante, che merita di essere attentamente meditata: “È inammissibile che si spari contro il contingente Unifil. Non hanno alcun diritto di farlo, sono truppe che hanno garantito anche la sicurezza di Hezbollah. Se è stato un errore, imparino a utilizzare meglio le armi”. È una considerazione che non può non lasciare molto perplessi: le truppe Onu, cui l’Italia contribuisce più di ogni altro Paese, servono dunque a garantire i terroristi? E uno stato democratico può invitarli a “sparare meglio”, cioè non contro l’Onu ma contro Israele? È questo il compito delle forse dell’Onu? Per capirlo bisogna fare un passo indietro.
Che cosa fanno le forze dell’Onu in Libano?
Uno dei fatti importanti della guerra difensiva che Israele sta sostenendo è che in Libano esiste una forza armata dell’ONU, che viene chiamata con la sigla UNIFIL. È una presenza che dura dal 1978 e che oggi è regolata dalla risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006, più volte prorogata. La risoluzione formalizzava l’accordo per la conclusione della “seconda guerra del Libano”: l’esercito israeliano si ritirava dal territorio libanese, si costituiva una zona smilitarizzata in Libano fra il confine con Israele e il fiume Litani una ventina di chilometri più al nord (è il territorio dove si combatte oggi). La risoluzione impegnava il Governo libanese “a sorvegliare i propri confini in modo da impedire l’ingresso illegale in Libano di armamenti e materiali connessi”, e tutti gli Stati ad adoperarsi affinché armamenti, materiali bellici e assistenza tecnico-militare siano forniti “solo su autorizzazione del Governo libanese o dell’UNIFIL”. Tra i compiti di UNIFIL era stabilito anche quello di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità, di “mettere in atto i provvedimenti che impongono il disarmo dei gruppi armati in Libano”.
La verità nelle parole di Tajani
Queste sono le parole della risoluzione e dell’accordo che ha messo fine alla guerra del 2006. In realtà il comportamento di Unifil è stato assai diverso: non ha fatto nulla per disarmare Hezbollah; ha accettato senza reagire che i villaggi al confine con Israele diventassero fortificazioni, caserme, rampe di lancio missilistiche; non ha reagito al fatto che esse fossero massicciamente usate nell’ultimo anno (dal Libano sono stati sparati su Israele circa 15.000 missili, la maggior parte da località sotto il controllo di Unifil). In diverse circostanze i militari dell’Onu hanno clamorosamente accettato il dominio terrorista sul loro territorio, lasciandosi addirittura più volte arrestare e disarmare da loro. E non hanno mai impedito e neppure segnalato la costruzione di basi militari a ridosso delle loro installazioni. In sostanza dunque hanno interpretato il loro ruolo come ha detto Tajani: hanno protetto la sicurezza di Hezbollah, magari aiutando i terroristi a “sparare bene”, contro Israele. In sostanza, quel che emerge dalla sincera dichiarazione di Tajani è che, come ha più volte detto il presidente Cossiga, nel Libano meridionale vige una sorta di “Lodo Moro”: libertà d’azione per i terroristi in cambio dell’incolumità (neppure sempre garantita, come si vede in quest’ultimo episodio) per i militari dell’Onu. Un arrangiamento che mostra come le forze internazionali in un conflitto come quello fra i terroristi e Israele, è peggio che inutile: programmaticamente dannoso.