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    La vergogna delle mozioni contro Israele all’Onu e dell’Italia che le vota

    È accaduto di nuovo, come tutti gli anni, almeno due volte l’anno. A primavera tocca all’UNESCO, in autunno-inverno all’Assemblea Generale dell’Onu. Ci sono poi occasioni estemporanee, in cui tocca alla commissione per i diritti umani, magari presieduta dal Venezuela o dall’Iran, o ad altri organismi internazionali, che dovrebbero occuparsi di ecologia o dei diritti delle donne. Nella noia dei dibattiti su problemi concreti e reali, sempre arriva il momento distacco, in cui finalmente i delegati si possono sentire buoni e giusti, dedicati agli interessi generali dell’umanità. La formula è semplice, basta condannare Israele, dire che non esiste, che non ha alcun diritto, che opprime i poveri palestinesi, che ha sede in un territorio con cui non ha nulla a che fare. Alla faccia della storia.

     

    È un vecchio gioco, dopotutto. Israele è lo stato degli ebrei e l’ebreo degli stati. E gli ebrei, si sa, sono di razza inferiore (così Hitler e i suoi predecessori), hanno il vizio di “autoannientarsi” nei campi di sterminio (così Heidegger), di avere una religione che è un “fossile” (così Kant), di essere allo stesso tempo sfruttatori e miserabili, capitalisti e rivoluzionari, di uccidere Dio (così per secoli la Chiesa), di ammazzare i profeti (così l’Islam). Insomma possono essere accettati fra gli altri solo se si taglia loro la testa e la sostituisce con un’altra (così Fichte), oppure è meglio bruciarli vivi nelle loro sinagoghe (così Lutero in teoria e i nazisti in pratica). Dunque negare loro diritti, dire che non c’entrano niente con Israele, con Gerusalemme e con il Tempio, è assolutamente normale.

     

    C’è una pagina di Wikipedia che elenca le risoluzioni dell’Onu contro Israele, questa: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_United_Nations_resolutions_concerning_Israel. L’elenco comprende 216 risoluzioni dell’Assemblea generale (ma solo fino al 2016, oggi saremmo ben più su); ma cita anche 45 risoluzioni dell’United Nations Human Rights Council (UNHRC), esattamente il 45,1% delle sue deliberazioni; 225 risoluzioni del Consiglio di sicurezza (sempre dall’inizio dello Stato di Israele al 2016). Per capire il peso di questa campagna contro Israele, che dura ininterrottamente da settant’anni, è utile un’ideografica di Al Jazeera, l’emittente televisiva del Qatar. Sebbene essa sia ferocemente anti-israeliana e sostenitrice di Hamas, in questa pagina (https://interactive.aljazeera.com/aje/2019/how-has-my-country-voted-at-unga/index.html) si vede che il conflitto arabo israeliano è da sempre uno dei due o tre temi più frequentati nei dibattiti dell’Onu, alla pari con i grandi temi dello sviluppo economico e della pace, battendo sistematicamente quelli del colonialismo e del disarmo nucleare.

     

    La cosa più bizzarra di questi dibattiti è il loro carattere fortemente ripetitivo e staccato dalla realtà, non solo nel senso di ignorare allegramente i fatti storici (per esempio la più ambiziosa delle risoluzioni appena approvate tace completamente del rapporto del popolo ebraico col Tempio, chiamandolo solo col nome arabo di “Haram al Sherif” e accusa di conseguenza Israele e non gli arabi, o anche se stessa, di manipolare la storia). Ma anche in quello di non tener conto dell’evoluzione della politica mediorientale. Se si guarda al comunicato stampa dell’ufficio stampa dell’Onu che riassume il dibattito su queste ultime risoluzioni (https://www.un.org/press/en/2021/ga12390.doc.htm racconta la discussione in Assemblea Generale, https://www.un.org/press/en/2021/gaspd743.doc.htm i lavori della commissione preparatoria), si vede che le posizioni di nemici durissimi, come l’Arabia Saudita e il Qatar o gli Emirati e l’Iran sembrano identiche; nessuno usa mai, in parecchie pagine di dissertazioni ripetitive e oscure, la parola terrorismo. Il solo che lo faccia è l’ambasciatore israeliano Erdan, l’unico che dissenta davvero dalla demonizzazione generale di Israele. A lui però sono riservate una ventina di righe su circa 400; ma quando dice che il giorno prima a Gerusalemme c’è stato un attentato terrorista di un dirigente di Hamas che ha provocato un morto e molti feriti e lo definisce “atto di terrore”, l’espressione viene messa fra virgolette. Non c’è il terrorismo, fuori dalle virgolette, non c’è Hamas, le linee armistiziali del ‘67 diventano “confini”; Israele deve astenersi dalla violenza sul Golan siriano e rispettare i diritti umani (questa dichiarazione allucinante diventa anche surreale perché la fa il rappresentante siriano, il cui rispetto dei diritti umani è noto…), l’Iran si lamenta che Israele sia una minaccia per la pace… gli egiziani del fatto che Israele viola le leggi… Insomma il dibattito sembra una commedia dell’assurdo, recitata però in un linguaggio rigido, fatto di forme precostituite (“Il Golan siriano”, “i Territori palestinesi occupati”, lo status quo…) Parlano quasi solo i paesi arabi e i loro alleati, gli Usa sprecano solo qualche battuta per lamentare il “linguaggio non equilibrato” delle risoluzioni, l’Europa tace del tutto.

     

    Tace, ma le vota praticamente tutte. La mozione sull’”assistenza ai rifugiati palestinesi” (cioè sull’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che è praticamente un braccio di Hamas) passa con 160 voti contro 1 (Israele) e 9 astensioni (fra cui gli Usa); quello sul Golan con 144 in favore, 2 contrari (Usa e Israele), 22 astenuti. Il testo più generale, il cui titolo è già tutto un programma (“Colonizzazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est e del Golan Siriano” è approvata con 142 voti favorevoli, 7 contrari (Canada, Ungaria, Israele, Marshall Islands,  Micronesia, Nauru, Stati Uniti) e 16 astensioni. Spiace dire che l’Italia, come quasi tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, non compaia mai fra i contrari e neppure fra gli astenuti. Nonostante gli appelli arrivate da diverse parti, anche quest’anno il nostro paese, o meglio il suo ministro degli esteri Luigi Di Maio, non si vergogna a votare una mozione in cui si impone a Israele di restituire lo Haram Al Saherif alla sua autentica tradizione storica, che sarebbe quella di mosche musulmana. Che poi da quelle parti siano passati Abramo e Isacco, Davide e Salomone, come racconta la Bibbia che per mille anni ci sia stato il Tempio, che vi sia passato anche Gesù, a quel che dicono i Vangeli, tutto questo non importa. Per l’Europa, per l’Italia, per Di Maio, come per il Qatar, l’Iran e Hamas, quello è lo Sharam Al Sherif e ci si è fermato soprattutto l’asino di Maometto.

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