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    La riforma della giustizia in Israele: ecco alcune opinioni

    L’annuncio del ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin di proporre una riforma della Corte Suprema volta a riequilibrare i poteri dello Stato ha aperto una crisi politica che sta inasprendo gli animi giorno dopo giorno. Per il terzo fine settimana di seguito centinaia di migliaia di israeliani si sono riversati nelle piazze per protestare contro questa riforma, considerata da molti, in particolare nell’opposizione, come “una minaccia alla democrazia”.

    Ma è davvero così? Diversi opinionisti si sono espressi a riguardo, ecco cosa pensano.

    “La democrazia di Israele non è in pericolo”, ha dichiarato Alan Dershowitz, uno degli avvocati più importanti degli Stati Uniti e sostenitore di lunga data dello Stato d’Israele. “Le riforme sono progettate per migliorare la democrazia”, tuttavia “ciò che è in pericolo sono le libertà civili, i diritti delle minoranze”, ha spiegato aggiungendo come Israele possa diventare più vulnerabile alle critiche straniere se la sua Corte Suprema sarà indebolita.

    “Penso che indebolirà l’Iron Dome legale di Israele”, ha continuato Dershowitz. “Penso che la Corte Suprema di Israele sia stata un fattore molto importante nel motivo per cui la Corte penale internazionale non ha giurisdizione su Israele. Penso che renderà le cose molto più difficili per persone come me, che cercano di difendere Israele davanti al tribunale internazionale dell’opinione pubblica, per difenderli efficacemente, sarebbe quindi una tragedia vedere la Corte Suprema indebolita”, ha detto.

    Un’idea quella di Dershowitz che però non convince del tutto, in particolare l’esperto di diritto internazionale del Kohelet Policy Forum di Gerusalemme, il professor Eugene Kontorovich.

    Secondo il professore infatti l’attuale struttura giudiziaria non ha impedito le diverse indagini della Corte Penale Internazionale contro lo Stato Ebraico. “L’assertività della magistratura israeliana non ha impedito alla Corte Penale Internazionale di condannarla nel 2004. Il presunto rispetto internazionale per la Corte Suprema non ha fatto nulla per impedire di riconoscere illegalmente e assurdamente uno “Stato di Palestina” in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme”, ha affermato il professor Eugene Kontorovich.

    Anche il parlamentare israeliano del Likud ed ex ambasciatore all’ONU Danny Danon in un’intervista al Jerusalem Post ha parlato della necessità di cambiare. Tuttavia le riforme non dovrebbero essere approvate frettolosamente dalla Knesset, ma anzi dovrebbero essere attuate con il maggior consenso possibile. “Il processo è importante. Deve essere ordinato e consentire il dialogo, perché più lo facciamo aperto e ordinato, più a lungo sopravviverà.- ha sostenuto Danon – Se lo facciamo in fretta, un futuro governo userà la sua maggioranza per annullarlo”. “Credo che nel dialogo scopriremo che ci sono molte cose su cui siamo d’accordo. Quindi dico, concentriamoci prima su ciò su cui siamo d’accordo, mettiamoli da parte e solo dopo arriviamo alle differenze”. Un messaggio di moderazione quello lanciato dal parlamentare in un periodo in cui le due fazioni, quelle della maggioranza e dell’opposizione, si stanno scontrando aspramente.

    Della stessa idea anche Alex Safian, direttore associato del  Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America (CAMERA), che in un lungo articolo sulla riforma Levin, ha dimostrato come sia profondamente sbagliato attaccare l’attuale governo, ma che persino diverse voci provenienti dall’area progressista israeliana da anni propongono riforme della giustizia. Secondo Safian “la riforma giudiziaria è una questione controversa in Israele e nella Diaspora, il che sottolinea perché dovrebbe essere discussa in modo razionale e sobrio, senza accuse iperboliche e potenzialmente pericolose che segnerebbero la fine della democrazia israeliana” e in linea con quanto espresso da Danon, citando inoltre la professoressa di diritto dell’Università Ebraica, “i grandi cambiamenti dovrebbero far parte di un pacchetto di accordi, con dare e avere e basati su un ampio consenso”.

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