Il numero due di Hamas
Saleh al-Arouri, il vicepresidente dell’ufficio
politico di Hamas, è stato ucciso ieri sera in un’esplosione. Egli era
considerato il “numero due” dell’organizzazione terroristica guidata
da Ismail Haniyeh ed era responsabile di attività terroristiche in Giudea e
Samaria. A suo tempo è stato lui, per esempio, a rivendicare la responsabilità
di Hamas per il rapimento e l’omicidio di tre adolescenti israeliani nel 2014.
Era vicino al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Al-Arouri è stato ucciso in
un attacco da parte di un drone israeliano contro un appartamento di un
condominio del quartiere sciita di Dahieh, posto a sud del centro di Beirut,
una delle roccaforti di Hezbollah. Altre due importanti capi terroristi sono
state uccise nell’esplosione, avvenuta mentre al-Arouri era in riunione con
altri terroristi di Hamas e Hezbollah. Secondo i rapporti, uno degli agenti
uccisi nello sciopero insieme ad al-Arouri era Khalil al-Hayya, un membro
anziano dell’ufficio politico di Hamas.
Il terzo colpo in pochi giorni
La notizia è importante per molte ragioni. In primo
luogo si tratta del terzo colpo importante contro i dirigenti terroristi nel
giro di pochi giorni. Qualche giorno prima, all’aeroporto di Damasco erano
stati eliminati undici ufficiali di alto livello delle Guardie Rivoluzionarie,
e ancora poco prima, sempre in Siria, ancora era stato liquidato Razi Mussavi,
il comandante dello stesso corpo in Siria, responsabile del coordinamento del
terrorismo contro Israele, per certi versi il successore di Qassem Soleimani,
eliminato quattro anni fa dagli americani e ancor oggi considerato l’uomo
chiave del progetto imperialistico dell’Iran. Si tratta dunque di una politica
precisa, di un progetto continuo che mette in atto la disposizione data da
Netanyahu dopo il massacro del 7 ottobre ai servizi: andare alla caccia dei suoi
responsabili dappertutto nel mondo e di eliminarli, come era stato fatto a suo
tempo coi responsabili della strage di Monaco. È difficile pensare che in una
cultura che glorifica la morte e considera il “martirio” come il massimo premio
nella vita di un fedele queste eliminazioni abbiano un effetto deterrente; ma
certamente disorganizzano l’azione del nemico e segnano una sua evidente
sconfitta. Lo storico israeliano molto noto Benny Morris ha appena pubblicato
un’intervista in cui afferma che la guerra si concluderà solo con l’uccisione
di tutti i responsabili del 7 ottobre.
Un colpo di precisione
Una seconda considerazione conseguente è che i
servizi di informazione israeliani, che erano stati beffati dall’invasione di
Hamas, si stanno lentamente prendendo la rivincita e stanno mostrando al
pubblico israeliano ma soprattutto ai governanti della regione che sono ancora
in grado di conoscere esattamente i movimenti dei capi nemici e di indicarli
alle forze armate per l’azione necessaria. Perché il drone colpisse esattamente
l’appartamento dove Saleh al-Arouri si riuniva con gli altri terroristi, senza
confonderlo con tutti gli altri vicini, permettendo quindi un colpo “pulito”,
che non ha coinvolto altri se non l’obiettivo stabilito, bisogna supporre che egli
fosse marcato elettronicamente o le sue abitudini monitorate in altro modo
altrettanto preciso. Lo stesso va detto per i colpi precedenti e per le molte
eliminazioni mirate che si sono susseguite nel corso dei combattimenti a Gaza.
Le reazioni di Hezbollah
La terza considerazione riguarda Hezbollah. Colpendo
in una roccaforte dell’organizzazione terroristica alcuni suoi stretti alleati
di alto rango, che evidentemente si sentivano sicuri sotto la sua protezione,
ma senza danneggiare i dirigenti di Hezbollah, le forze armate israeliane hanno
lanciato un messaggio molto chiaro ai terroristi libanesi: non vi sono santuari
per loro, come è stato colpito Hamas così potrebbero esserlo anche loro; ma
Israele per il momento non vuole una guerra totale con loro. È conveniente
dunque per Hezbollah inghiottire l’affronto e non reagire. E infatti, fino a
mercoledì mattina, nonostante le previsioni di un possibile bombardamento da
parte del sistema missilistico di Hezbollah (che è forse dieci volte più ricco
di testate e preciso di quello di Gaza) non vi è stata la reazione per cui le
forze armate israeliane erano in stato di massima allerta. Può essere un
segnale di ponderazione o di panico, è difficile dirlo. È probabile che la
reazione arrivi, per esempio dopo il discorso previsto per questo pomeriggio di
Nasrallah, il leader di Hezbollah, che subito dopo il colpo di Dahieh era stato
annullato e poi annunciato di nuovo. Ma certamente Hezbollah e l’Iran che lo
controlla, stanno pensando con molta cura se sia conveniente imbarcarsi in uno
scontro che farebbe molti danni a Israele ma si concluderebbe con una rovina di
Hezbollah analoga a quella di Hamas e dunque con la distruzione del progetto
iraniano di una mezzaluna sciita che dovrebbe portare dalla Persia al Mediterraneo,
incuneandosi nel mondo sunnita e dominandolo. Forse è meglio per loro
inghiottire lo smacco e mantenere in piedi la minaccia su Israele, in attesa di
tempi migliori, per esempio di una rinnovata turbolenza interna allo stato
ebraico.
Il punto di svolta per la guerra al nord?
Infine la notizia dell’attacco a Beirut va legata
alle scelte israeliane rispetto a Gaza. Lo stato maggiore dell’esercito ha
annunciato alcuni giorni fa il ritiro di 5 brigate (cioè circa 25 mila uomini)
dalla Striscia: due di riservisti saranno congedate almeno provvisoriamente e
tre mandate a una fase di addestramento. Ciò serve da un lato a soddisfare in
parte le pressioni americane per una de-escalation da Gaza; in parte serve a
dare respiro alle truppe, impegnate ormai in battaglia da più di due mesi: la
rotazione dei combattenti è sempre necessaria in qualunque esercito per
mantenere l’efficienza operativa. Ma va anche legata alle dichiarazioni di
numerosi dirigenti per cui la guerra durerà per molti mesi ancora (così Benny
Gantz) o addirittura per tutto il 2024 (così Netanyahu). È probabile che questa
lunga durata non serva solo a domare il terrorismo a Gaza e a conquistare tutte
le sue fortificazioni sotterranee, ma sia prevista pensando a un’estensione del
conflitto al nord, come del resto sta iniziando ad avvenire ormai da una decina
di giorni. Per ora sono scambi di artiglieria e bombardamenti missilistici e
aerei rafforzati, ma una guerra con Hezbollah in Libano e Siria coinvolgerebbe
certamente anche le forze di terra, che debbono preparavisi. Da questo punto di
vista l’eliminazione di Saleh al-Arouri avvenuta nella capitale del Libano
potrebbe essere un avvertimento o una tappa di questa strategia.