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    La coalizione contro gli Houti

    “Prosperity guardian”

    La notizia più importante della giornata è la costituzione
    di una coalizione di 19 stati per far fronte al terrorismo navale degli Houti,
    finanziati ed armati dall’Iran, i quali dalle loro basi nello Yemen, che
    dominano lo stretto di Bab el Mended, bloccano la navigazione fra Mar Rosso e
    Golfo di Aden, cioè chiudono l’accesso al canale di Suez. Si tratta
    probabilmente dell’arteria marittima più importante del mondo, perché mette in
    comunicazione le merci dell’Estremo Oriente (India, Cina, Giappone, Vietnam) e
    il petrolio del Golfo Persico coi mercati del Mediterraneo (l’Europa
    meridionale inclusa l’Italia) e di qui attraverso lo stretto di Gibilterra con
    l’Europa settentrionale e la costa orientale degli Stati Uniti, cioè la zona
    più prospera del pianeta. Ieri sette fra le maggiori compagnie di navigazione
    internazionale avevano annunciato di aver sospeso la navigazione attraverso
    Suez e di aver deciso di far passare le loro navi oltre il capo di Buona
    Speranza, la punta meridionale dell’Africa. È un giro che aumenta il percorso
    verso il Mediterraneo di due settimane, con i ritardi e i costi conseguenti.
    Col pretesto di attaccare Israele, il blocco dunque costituisce una perdita
    economica importante per l’Europa, ma minaccia anche la rovina dell’Egitto per
    cui i ricavi del pedaggio di Suez è una posta fondamentale di bilancio. La
    coalizione americana è denominata “Prosperity guardian”, ne farà parte anche
    l’Italia, che ha messo a disposizione una corvetta avanzata, insieme a USA,
    Regno Unito, Spagna, Bahrain, Canada, Francia, Paesi Bassi, Norvegia,
    Seychelles e altri paesi arabi che hanno scelto di non essere esplicitamente
    citati, per un totale di 19 stati. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di voler
    “lasciare un’ultima chance alla diplomazia” prima di colpire gli Houti, ma
    hanno già spostato il gruppo navale che stava nel Golfo Persico a 120
    chilometri dal porto yemenita Aden, con una portaerei che dunque è a distanza
    ideale di tiro dalle posizioni yemenite. Anche Israele ha navi militari
    avanzate nel Mar Rosso (alcune corvette e probabilmente un sottomarino
    portamissili), ma come sempre in questi casi la sua azione non è dichiarata.
     

    L’incidente alla parrocchia cattolica di Gaza

    Ci sono novità anche sulla vicenda non ancora chiara delle
    due donne perite nella parrocchia cattolica a Shejaya, nella città di  Gaza. Ieri l’esercito israeliano ha concluso
    un primo esame dell’incidente. Come abbiamo riferito ieri, il Patriarcato
    latino di Gerusalemme aveva accusato le forze armate israeliane dell’incidente,
    sostenendo che i suoi cecchini avessero ucciso due donne, una madre e una
    figlia, mentre erano all’interno della chiesa e ferito una decina di altre
    persone, sparando loro “a sangue freddo e senza preavviso” all’interno dei
    locali della chiesa. L’esercito ha affermato in una dichiarazione che la sua
    analisi “ha rilevato che il 17 dicembre, nel primo pomeriggio, i terroristi di
    Hamas hanno lanciato una granata a razzo (RPG) contro i soldati dalle vicinanze
    della chiesa. Le truppe hanno poi identificato tre persone nelle vicinanze, che
    operavano come osservatori per Hamas guidando i loro attacchi in direzione dei
    militari. In risposta, le nostre truppe hanno sparato verso gli osservatori.
    Anche se questo incidente è avvenuto nell’area in cui le due donne sarebbero
    state uccise, i rapporti ricevuti [su queste morti] non corrispondono alla
    conclusione della nostra analisi iniziale che ha rilevato che le truppe stavano
    prendendo di mira vedette nemiche. Stiamo continuando il nostro esame
    dell’incidente”. Ha aggiunto la nota: “L’esercito israeliano prende molto
    sul serio le rivendicazioni di attacchi su siti sensibili, in particolare
    chiese che sono luoghi santi per la fede cristiana. Israele dirige le sue
    operazioni contro l’organizzazione terroristica Hamas e non contro i civili,
    indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa. Le forze armate adottano
    molte misure per mitigare i danni ai civili nella Striscia di Gaza. Questi
    sforzi sono in contrasto con Hamas che fa tutto ciò che è in suo potere per
    mettere in pericolo i civili e li sfrutta, così come i siti religiosi, come
    scudi umani per le loro attività terroristiche.”
     

    Riparte la trattativa per la liberazione dei rapiti?

    Infine vi sono sviluppi non chiari nella questione di una
    possibile trattativa fra Israele e Hamas per la liberazione dei rapiti. Fonti
    di stampa dicono che vi è un’offerta israeliana di due settimane di tregua per
    dar modo a Hamas di raccogliere tutti i sequestrati (giacché il gruppo
    terrorista afferma che si siano dispersi fra vari gruppi e in luoghi diversi) e
    liberarli. La trattativa si svolge questa volta in Egitto, dove dovrebbe
    arrivare oggi il capo di Hamas in esilio Ismāʿīl Haniyeh, che vive normalmente
    a Doha, in Qatar e già sono presenti il direttore del Mossad, David Barnea e i
    servizi segreti americani. Ci sono forti pressioni internazionale per questa
    tregua e sarà difficile dopo di essa per Israele riprendere l’operazione
    antiterroristica. Dunque in teoria essa è molto favorevole a Hamas, che ha
    subito pesanti sconfitte sul terreno, non è mai riuscito a bloccare l’avanzata
    israeliana, ha subito la dissoluzione di alcune delle sue formazioni e rischia
    in ogni momento di perdere i suoi dirigenti interni Mohammed Deif e Yahya
    Sinwar. Ma prima di partire Haniyeh ha dichiarato di nuovo che la fine totale
    dell’”aggressione israeliana a Gaza” non è neppure il prezzo per il riscatto
    dei rapiti, ma solo la precondizione per l’apertura delle trattative. Poi si
    discuterà dell’entità di uno scambio fra i rapiti e i terroristi detenuti in
    Israele, che Hamas vorrebbe liberare tutti. Sarebbe una vittoria straordinaria
    per Hamas, che ne rilancerebbe la popolarità e l’azione terroristica. Ma anche
    in Israele c’è chi vorrebbe una soluzione di questo tipo: non solo alcune
    famiglie dei rapiti (e questo è comprensibile), ma i politici arabi e l’estrema
    sinistra. Vedremo nei prossimi giorni come si svilupperà questo negoziato e
    come esso si intreccerà con le tensioni politiche che si sono riaperte in
    Israele.
     

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