La notte di sabato è stata buia e lunga per Israele. Dopo il massacro del 7 ottobre e il relativo dolore per la perdita o la scomparsa di amici e parenti, la popolazione israeliana ha dovuto nuovamente assistere ad un momento intenso di paura. Sabato sono infatti stati lanciati centinaia di missili e droni dall’Iran verso lo Stato ebraico. Nonostante l’assalto mirato dell’Iran, grazie ai sistemi di difesa d’Israele e dei suoi alleati, i danni sono stati minimi. Tuttavia, il morale degli israeliani, come degli ebrei di tutto il mondo, è stato messo ancora a dura prova. “Durante la notte tra sabato e domenica c’è stata una sensazione di forte ansia. Non è stato come il 7 ottobre, in cui siamo stati sorpresi dall’attacco, ma ricevere la notizia che centinaia di droni e missili stavano arrivando verso di noi è stato difficile. È naturale avere paura nonostante si confidi molto nei sistemi di difesa dell’Iron Dome, dell’aviazione e dell’IDF. Fin dal momento in cui siamo stati avvertiti che dalle 23.00 bisognava star vicino alle camere di sicurezza è stato difficile” ha raccontato a Shalom Daniel Lanternari cittadino israeliano del kibbutz Nir Yitzhak, nato e cresciuto in Italia e sopravvissuto alla strage del 7 ottobre.
Ore di preoccupazione, di dubbi e incertezza in cui gli israeliani e gli ebrei di tutto il mondo hanno atteso con il fiato sospeso la fine dell’attacco e la speranza di un po’ di pace. “Noi, dal 7 ottobre siamo sparsi per tutta Israele, ad esempio sabato mia moglie era con mia figlia piccola ad Eilat, mentre mio figlio assieme a degli amici. Nonostante la lontananza, siamo subito tutti andati nella camera di sicurezza. Io mi trovavo in un hotel a Ber Sheva, dove lavoro. In quell’albergo non c’erano solo turisti, ma anche arabi ed altre persone che dal 7 ottobre sono sfollati, ci siamo ritrovati tutti nelle camere di sicurezza” ha proseguito Lanternari.
Secondo il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari, durante l’attacco guidato da Teheran sono stati lanciati circa 300 proiettili contro Israele, compresi 170 droni che sono stati intercettati senza fare nessuna vittima. “Dal quel 7 ottobre niente è come prima, non siamo a casa nostra, non siamo uniti. La speranza è l’ultima morire sia per i 133 ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas, che per i tre presi dal nostro kibbutz. Nonostante questo, cerchiamo di essere speranzosi ma la nostra pazienza sta per finire, siamo stufi delle sirene, di vivere in questa situazione ci piacerebbe tornare a casa presto alla nostra vita” conclude Lanternari.