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    L’accordo sugli ostaggi


    L’accordo

    A tarda notte di ieri, dopo un’accanita discussione, il governo israeliano ha approvato un accordo per la liberazione di un certo numero di persone rapite da Hamas, in cambio della scarcerazione di un numero più consistente di terroristi arrestati e di una tregua di cinque giorni. L’accordo approvato comprende 30 bambini, otto madri e altre 12 donne. I 50 ostaggi verranno liberati in gruppi più piccoli durante quei giorni e non tutti in una volta. Israele in cambio rilascerà circa 150 donne e minori palestinesi detenuti nelle sue carceri per reati legati alla sicurezza, ma nessuno di loro sarebbe direttamente coinvolto in attacchi terroristici con vittime. Esiste la possibilità del rilascio di altri 30 ostaggi trattenuti a Gaza nel caso in cui la pausa nei combattimenti dovesse prolungarsi per altri quattro giorni. I liberati saranno tutti cittadini israeliani, ma in parallelo vi è la possibilità che siano liberati dei rapiti tailandesi. L’accordo è stato negoziato dai servizi di informazione israeliani con i dirigenti di Hamas in Qatar, grazia alla mediazione di quest’ultimo stato e con l’appoggio di Usa e Egitto. Come parte dell’accordo, il carburante potrà entrare a Gaza durante la pausa dei combattimenti. Israele si era opposto a questi rifornimenti per evitare che Hamas lo sequestrasse per uso militare, ma oggi ha rinunciato a questa interdizione. Ogni giorno ci sarà una finestra di sei ore, durante la quale la sorveglianza aerea di Israele su Gaza verrà interrotta. L’attività dell’aviazione militare cesserà del tutto sulla parte meridionale della Striscia e si interromperà dalle 10 alle 16 sulla parte settentrionale. “Ci sono altre capacità di raccolta di informazioni. Non saremo ciechi in quelle 6 ore in cui non ci saranno droni e palloncini in aria”, ha detto ai giornalisti un alto ufficiale israeliano. Non sarà consentito agli sfollati di queste settimane di far ritorno alla parte settentrionale di Gaza.


    La discussione

    Sull’accordo sono state espresse molte riserve da parte dei politici di destra (Otzma Yehudit, il partito di Ben Gvir e Sionismo religioso, il partito di Smotrich). A favore si sono pronunciati i servizi (Mossad e Shin Bet) il vertice delle Forze Armate e gli altri esponenti del governo, da Netanyahu a Gantz ai partiti che sono espressione del mondo religioso charedì. Anche l’opposizione di sinistra si è detta favorevole. Critiche sono arrivate invece da numerosi opinionisti.

    I problemi

    I rischi e i limiti dell’accordo sono chiari. Solo una parte dei sequestrati verrà liberata, ne restano in mano ai terroristi quasi duecento, in una situazione di grave sofferenza per loro e le famiglie e con la possibilità di essere usati ancora per scambi e scudi umani. Lo scambio dei rapiti con terroristi regolarmente arrestati legittima in qualche modo i crimini di Hamas e soprattutto ne rafforza molto la popolarità nel mondo arabo e fra i palestinesi. I terroristi avevano sempre dichiarato apertamente, anche prima del 7 ottobre, di voler rapire degli israeliani per scambiarli con i terroristi detenuti. Ora ci sono riusciti e questo cambia il senso percepito della loro operazione, la trasforma in un successo anche se hanno subito perdite gravi, che comunque per la mentalità islamica sono valutate positivamente come atti di martirio. 

    Che succede ora

    Sul piano operativo è evidente che una tregua di cinque giorni, che è già previsto si possa prolungare per altri quattro, con una forte diminuzione della sorveglianza aerea, permetterà ai terroristi di riorganizzarsi, di rifornirsi, di uscire dalle situazioni più problematiche in cui si trovano. Dopo una settimana o dieci giorni di pausa ci saranno troppe pressioni internazionali, e dunque sarà molto difficile per Israele ricominciare la guerra, come pure Netanyahu ha promesso di fare, salvo che Hamas stesso non decida che gli conviene riprendere i combattimenti. In ogni caso l’iniziativa sarà in mano loro. Potranno decidere se attaccare, fuggire, prolungare ancora la tregua centellinando il rilascio dei rapiti. È molto probabile che l’operazione Spade di ferro, come l’abbiamo conosciuta finora, si concluda qui. Gaza è conquistata solo in certi settori, il sistema dei tunnel smantellato solo al Nord e parzialmente, Hamas è duramente colpita, ha perso migliaia di uomini e moltissimi quadri, ma il suo nucleo centrale è ancora in piedi. Non sono neanche esauriti i suoi missili. Se restasse così nel giro di qualche tempo potrebbe ricostruire le sue capacità militari, utilizzando come ha sempre fatto i soccorsi internazionali per farne armi e contando sull’aiuto di Iran, Qatar, Turchia. Si tratta di capire che cosa accadrà nelle settimane successive, con mezza Gaza occupata, centinaia di migliaia di sfollati e la struttura terroristica ancora esistente. Tutto ciò creerà a Israele numerosi problemi tecnici ma soprattutto politici. 

    Le ragioni

    Perché si sia arrivati a questo accordo è abbastanza chiaro. Ci sono le ragioni delle famiglie dei rapiti, che nell’etica ebraica sono importantissime. È stata determinante una forte pressione internazionale e soprattutto americana. C’è stato forse un certo scetticismo da parte dei vertici militari, ormai da decenni abituati a pensare in termini di deterrenza e non di vittoria. È pesata anche la ricomparsa di manifestazioni contro il governo, che approfittando del dolore delle famiglie dei rapiti rischiavano di riprodurre le dinamiche della disobbedienza civile che ha avuto certamente peso nel far percepire ai terroristi la debolezza di Israele prima della strage. A quel che si capisce, Netanyahu e Gallant hanno resistito a questa pressione per una decina di giorni, poi hanno dovuto cedere. Forse hanno ottenuto una promessa americana di consentire la ripresa dei combattimenti, ma è difficile che essa si realizzi davvero. Certo che la lenta e sistematica avanzata delle forze armate si è interrotta e salvo incidenti imprevisti per un certo periodo la situazione militare e quella politica si stabilizzeranno al punto attuale.


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