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    Israele: governo approva nuovo lockdown, piu’ duro che a marzo

    Da domani nuovo lockdown totale in Israele: dopo una riunione fiume del gabinetto d’emergenza coronavirus durata oltre otto ore, le raccomandazioni sono state approvate all’alba dal governo e ora si attende solo il voto della Knesset. Una settimana fa era stato decretata una forma parziale di blocco ma l’impennata dei contagi, arrivata ieri a quasi 7 mila nuovi casi, ha costretto l’esecutivo su posizioni piu’ dure. Il blocco del Paese durera’ almeno fino alla fine delle festivita’ ebraiche, il 10 ottobre, e sara’ molto probabilmente piu’ severo di quello di marzo: tra le misure, chiusura delle sinagoghe e riduzione del numero di partecipati ammessi alle manifestazioni, al massimo 20 persone entro un chilometro da casa; stessa regola anche per i fedeli che potranno pregare in piccolo gruppi all’aperto e vicino all’abitazione. Stop a tutte le attivita’ e servizi non essenziali, trasporti pubblici ridotti e possibilita’ di radunarsi solo all’interno del nucleo familiare. Unica eccezione sara’ la festa di Yom Kippur, quando saranno aperti i luoghi di preghiera ma solo per piccolo gruppi, come gia’ avvenuto per il capodanno ebraico. Incerto ancora il destino dell’aeroporto internazionale di Ben Gurion, che potrebbe essere chiuso; se ne discutera’ nuovamente oggi. 

    Benjamin Netanyahu ha insistito sulla chiusura totale del Paese nonostante le resistenze del ministro delle Finanze, Israel Katz, e di diversi ministri. A preoccupare il super commissario della task force anti-Covid Ronni Gamzu e altri esperti, piu’ che il virus, sono le conseguenze per l’economia, gia’ provata: le perdite stimate per tre settimane di lockdown sono di 35 miliardi di shekel (10 miliardi di dollari). A suscitare le frizioni maggiori all’interno della riunione di governo e’ stata la discussione su quali limitazioni imporre a sinagoghe e manifestazioni. “Ma perche’ dobbiamo chiudere le fabbriche per fermare le proteste?”, ha allora chiesto Katz, mentre il ministro degli Esteri, Gabi Ashkenazi, numero due del partito centrista, sottolineava che non e’ Blu e Bianco a chiedere la chiusura “ma il premier”. “Ho sentito esperti sanitari dire che non c’e’ motivo per una chiusura generale, quindi voglio capire perche’ sia raccomandata: si tratta dell’ultima spiaggia, non di una soluzione alle proteste”, ha aggiunto il capo della diplomazia. Anche per il ministro della Giustizia Avi Nissenkorn, “non si puo’ andare contro (il parere) degli operatori sanitari per considerazioni politiche”. “Abbiamo concordato una chiusura ma ora si vuole una decisione che metta al bando solo le manifestazioni su Balfour Road”, ha aggiunto, riferendosi alla strada dove si trova la residenza del premier e dove da mesi centinaia di manifestanti si radunano, chiedendone le dimissioni. D’altra parte, il ministro dell’Interno, l’ultraortodosso Arye Deri ha sottolineato di non poter convincere i rabbini a chiudere le sinagoghe se le proteste continuano; e per la ministra dei Trasporti, Miri Regev, “siamo prigionieri di queste manifestazioni. Non puo’ essere che permettiamo proteste che diffondono (il coronavirus) mentre i fedeli sono costretti a pregare in sgabuzzini”. Secondo un sondaggio di Channel 12, la maggioranza degli intervistati approva lo stop alle proteste (70%) cosi’ come la chiusura delle sinagoghe (60%). Netanyahu si e’ difeso sostenendo che la misura e’ necessaria per bloccare la trasmissione del Covid: “Se permettiamo che possano uscire di casa per manifestare, la gente potra’ anche andare in spiaggia e chiamarla protesta. Chi lo dice che debbano andare cosi’ lontano per manifestare? Lasciamo che lo facciano vicino casa”. “La situazione e’ brutta, sono in pericolo vite: ecco perche’ non abbiamo scelta”, ha concluso il premier. (AGI)

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