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    ISRAELE

    Israele colpisce ancora Hezbollah: la strategia dell’eliminazione mirata

    Un colpo straordinario – e raddoppiato
    È difficile pensare a una storia di spionaggio e di azione meglio congegnata. Dopo il colpo ai cercapersone, il personale di Hezbollah è stato colpito di nuovo ieri da una serie di esplosioni alle radio personali (i cosiddetti walkie talkie) e ha subito altre centinaia di feriti di cui molti gravi e una decina di morti. Il responsabile dell’azione, naturalmente, è Israele, che però non l’ha rivendicata e non l’ha neppure negata, come accade regolarmente nel caso di azioni sensibili, per esempio per l’eliminazione del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Damasco il 4 agosto. Il risultato è una doppia crisi molto grave del nemico dello Stato ebraico più attivo in questo momento: da un lato la maggioranza dei quadri di Hezbollah sono feriti e messi nell’impossibilità di nuocere; dall’altro è disabilitato completamente il sistema di comunicazione che è ciò che tiene insieme e rende operativi gli eserciti moderni. Hanno un bel dire i nemici di Israele, come il senatore americano Sanders o la deputata Ocasio-Cortez, o la vicepremier belga Petra De Sutter che l’azione andrebbe punita perché non rientrerebbe nelle consuete tattiche della guerra. In realtà non vi è mai stata un’eliminazione più mirata. Solo i terroristi inquadrati da Hezbollah (e i loro più stretti alleati, come l’ambasciatore iraniano) avevano i mezzi di comunicazione che sono esplosi; e fra essi solo i più responsabili, quelli che svolgono un ruolo di comando. È un colpo di grandissima efficacia e selettività che rientra perfettamente nella dura guerra che Hezbollah conduce contro Israele senza provocazione dal 7 ottobre dell’anno scorso.

    Passare alla bassa tecnologia
    La storia di questa azione deve far riflettere. In generale i terroristi conoscono l’abilità digitale di Israele, in particolare per quanto riguarda il web, i computer e gli smartphone. Cercano dunque di usarli il meno possibile. A quanto si dice, il più ricercato di tutti, il capo di Hamas Sinwar, dall’inizio della guerra non usa nessun mezzo tecnologico e comunica solo con biglietti scritti, quel che nel gergo mafioso si chiamano pizzini. Anche Hezbollah ha deciso all’inizio della guerra di usare le tecnologie meno avanzate per gestire il coordinamento e la comunicazione interna, scegliendo come canale informativo e veicolo degli ordini non dei telefoni cellulari, ma i vecchi cercapersone, che si usavano negli anni Ottanta. Sono dispositivi che ricevono solo brevi messaggi di testo, non voce né dati né immagini, e che per lo più sono passivi, cioè non possono trasmettere ma solo ricevere; non sono nella rete, ma prendono i dati da onde radio su una frequenza personalizzata. Quindi sono difficilmente intercettabili, e sembravano molto sicuri per i terroristi.

    La trappola
    Di conseguenza Hezbollah, all’inizio della guerra o forse anche prima, ne ha ordinati 5.000 (abbastanza per tutti i suoi quadri), molto resistenti ed efficaci, alla Gold Apollo, un’azienda di Taiwan. Peccato che questa avesse ceduto i business e il marchio a un’altra azienda, la BAC Consulting KFT, una compagnia che ha sede in Ungheria e che da un paio d’anni gestisce gli ordini per alcune aree geografiche, fra cui il Medio Oriente. Questa però è solo un “intermediario commerciale senza nessun impianto di fabbricazione in Ungheria”, dice il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs sui social, affermando quindi che non gli risulta che i cercapersone siano stati prodotti in Ungheria. Non si sa dunque chi abbia prodotto gli apparecchi: probabilmente forse una società creata dai servizi israeliani, che comunque hanno avuto fisicamente in mano le macchine per qualche tempo. Il che conferma che Israele ha il modo di conoscere anche le decisioni organizzative più riservate dei terroristi, come quelle che riguardano i sistemi di comunicazione.

    Le esplosioni
    Qualcuno legato ai servizi israeliani, infatti, ha inserito all’interno dei dispositivi vicino alla batteria una piccola quantità (fra i 20 e i 50 grammi, il peso di un piccolo tuorlo d’uovo) di alto esplosivo. I “pager” sono stati consegnati cinque mesi fa e distribuiti immediatamente. Al momento buono, con una chiamata contenente un apposito comando software che ha raggiunto tutte le macchine, i cercapersone sono stati indotti a sovraccaricarsi, sfruttando al massimo e riscaldando così la batteria, che ha fatto esplodere l’esplosivo ed essa stessa si è incendiata producendo una pericolosissima fiammata. Chi stava leggendo il messaggio inserito nel dispositivo ha perso la vista e le mani, chi lo teneva in tasca ci ha rimesso le parti basse del ventre. Lo stesso è accaduto quando dopo l’esplosione dei cercapersone Hezbollah ha ordinato di passare a dispositivi ancora più primitivi, i walkie talkie che consentono solo una comunicazione bidirezionale vocale di qualche chilometro. Anch’essi erano stati consegnati alcuni mesi fa ed erano stati minati e al momento buono sono esplosi, provocando altri numerosi feriti e morti.

    Che succede adesso?
    Hezbollah ha minacciato rappresaglie sanguinose, ma al momento è disorganizzato. Questo sarebbe il momento di attaccarlo, e infatti si dice che tutta l’operazione fosse stata concepita in vista dello scontro sul terreno con i terroristi libanesi, ma Israele si sarebbe accorto che intorno ai cercapersone incominciavano a girare dei sospetti nell’organizzazione di Hezbollah e dunque avrebbe deciso di procedere ora prima che l’esplosivo fosse trovato. Ma, a quanto pare, c’è un veto dell’amministrazione democratica, che non vuole la vittoria di Israele e neppure troppi combattimenti fino alle elezioni. E Israele, di fronte alle minacce americane di togliere l’appoggio militare e quello diplomatico all’Onu, è costretto a cedere. Deve quindi aspettare che sia Hezbollah, quando se la sentirà, a provocare lo scontro di terra. Per ora Israele ha dimostrato ancora una volta di avere risorse di intelligence e audacia operativa senza pari al mondo.

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