La quarta guerra di Gaza è finita, almeno per il momento. La dirigenza di Hamas minaccia di riprenderla subito, perché Israele non vuol più permettere che gli aiuti del Qatar alla striscia siano gestiti dai terroristi che li usano non per migliorare la situazione umanitaria della popolazione ma per costruire impianti militari. Il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, ha dichiarato in una conferenza stampa che il suo dio gli ha detto che deve “distruggere Tel Aviv” e che può farlo perché Israele ha messo fuori uso solo il 3% dei tunnel militari (“la metropolitana di Gaza”) con i rifornimenti di razzi e di terroristi che contenevano. Ma gli osservatori concordano che sono affermazioni propagandistiche. Certamente è probabile che Hamas tenti in qualche modo di mettere alla prova la risolutezza del nuovo governo, che ha al suo interno alcune componenti arabe e di sinistra che appaiono disposte ad accettare i suoi ricatti nell’illusione di tenerlo calmo. Ma è difficile che si arrivi presto di nuovo a un conflitto generale, dato che Hamas ha molte ferite da curare e ha certamente capito la propria impotenza a fare danni seri a Israele.
Quella che continua invece è un’altra guerra, a bassa intensità e molto segreta, quella fra Israele e la testa del serpente terrorista, cioè l’Iran. Di alcuni episodi siamo certi. Nell’ultima settimana sono continuati gli attacchi aerei in Siria contro i depositi e le fabbriche d’armi iraniane destinate ad alimentare una guerra missilistica, che sarebbe estremamente pericolosa per lo stato ebraico. C’è stata anche un’azione di terra, quando le forze speciali di Israele hanno distrutto un osservatorio e un posto di tiro, che era stato costruito da Hezbollah nella striscia di confine fra le linee rivendicate da Israele e quelle siriane. È uno spazio fra i due schieramenti lasciato demilitarizzato secondo gli accordi di armistizio seguiti alla guerra del Kippur, che i siriani e i terroristi cercano di utilizzare per portarsi in vantaggio. Dovrebbe essere sorvegliato dalle truppe dell’Onu, che però in quel luogo come altrove servono a poco. Israele elimina dunque direttamente le minacce, quando si presentano. Sembra che in seguito a questo episodio Assad, che non è proto a una guerra con Israele, abbia sostituito tutti i comandanti militari della regione. Forse è un’altra puntata della lotta sorda fra Assad, gli iraniani e i russi per il controllo della Siria meridionale
Un’altra parte della guerra con l’Iran è segreta, tanto che nella maggior parte dei casi non si sa se certi incidenti siano davvero casuali o atti bellici. È accaduto contro Israele quando alcuni mesi fa una nave libica, noleggiata da armatori persiani, ha “perso” nel Mediterraneo alcune centinaia di tonnellate del petrolio che portava, inquinando pesantemente la costa di Israele e anche un bel pezzo di costa libanese, con gravi danni ecologici ed economici. Sempre nel Mediterraneo, una decina di giorni fa, è stata danneggiata un’altra nave che svolge il contrabbando di armi e petrolio fra Iran e Siria, violando le deliberazioni dell’Onu. Sul territorio persiano vi sono stati diversi incendi in impianti industriali chiave: una ha colpito cinque giorni fa una raffineria di petrolio nella periferia meridionale di Teheran e i pompieri ci hanno messo due giorni per spegnerlo, con gravi danni; un altro, un giorno prima del rogo alla raffineria, ha semidistrutto una fabbrica a Isfahan, dove si producono droni militari, quelli che usano gli Houti, satelliti yemeniti dell’Iran per colpire l’Arabia e che sono stati anche contrabbandati a Hamas. Un modello di questi droni si chiama “Gaza”. Sempre la settimana scorsa, nel golfo di Aden, che è la parte più esterna del Golfo Persico, da cui passano centinaia di petroliere alla settimana, talvolta attaccate da barchini e mine dei “Guardiani della rivoluzione”, ha preso fuoco ed è affondata la Kharg, la nave più grande della marina militare iraniana, spesso usata per trasportare i missili che poi vengono forniti ai movimenti terroristi. Una perdita significativa.
Sono tre episodi recenti, non rivendicati, di cui difficilmente sapremo l’origine, perché Israele ha la politica di non attribuirsi mai le azioni militari irregolari e anche perché l’Iran vuol proiettare un’immagine di potenza e nasconde le sue debolezze e i suoi fallimenti, che si tratti di cattiva manutenzione e incuria, o che la causa siano azioni militari sul suo territorio. Nel frattempo però la guerra vera è quella per l’armamento atomico. L’agenzia nucleare della Nazioni Unite ha comunicato dei dati estremamente preoccupanti: l’Iran è arrivato ad arricchire l’uranio 16 volte oltre i limiti previsti dal trattato JPCOA, al 63% (l’uranio per usi civili si arricchisce a non più del 3 o 4 %, quello per la bomba dev’essere ricco al 90%, non ci sono altre spiegazioni per questo risultato se non è una tappa verso il combustibile nucleare). I servizi segreti hanno valutato che in sei mesi gli ayatollah potrebbero avere attiva la loro prima bomba atomica. In questa storia è importante il ruolo degli Usa di Biden e dell’Europa, che si ostinano a cercare di venire a patti con l’Iran, considerandolo un partner affidabile con cui mettersi d’accordo e non un nemico pericoloso e astuto com’è, da contenere con la forza. In questo quadro Israele, che è il primo bersaglio dichiarato dell’aggressività iraniana, potrebbe dover agire da solo per difendersi, appoggiato solo dagli altri nemici regionali dell’Iran come l’Arabia e gli Emirati. Ce la può fare? A sentire le dichiarazioni del capo dello stato maggiore delle forze armate, Aviv Kochavi, sembrerebbe di sì. Ma avrà Israele la determinazione per farlo e fronteggiare poi le conseguenze? Con questo torniamo al problema della capacità del nuovo governo così eterogeneo di continuare una politica difensiva necessaria e difficile. Ma questo non lo sa nessuno, probabilmente neanche i suoi leader.