Skip to main content

Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Il vero conflitto ora è nel campo palestinese

    L’evento più significativo accaduto dopo la fine dei combattimenti a Gaza non ha attirato l’attenzione della gran parte dei giornali italiani. Eppure è importante. Si tratta di questo. Venerdì, sul Monte del tempio, un gruppo consistente di musulmani ha cacciato dalla moschea di Al Aqsa il muftì di Gerusalemme (successore dunque del famigerato Haj Amin al-Husseini, l’amico di Hitler), Sheikh Mohammed Hussein, impedendogli di completare la sua predica. La sua colpa è di essere un alto funzionario dell’Autorità Palestinese, nominato al suo posto dal presidente di questa Muhammed Abbas, dunque un avversario politico di Hamas. Che la spianata delle moschee, come la chiamano, sia la sede di gruppi estremisti è molto chiaro. Ricordiamo l’assassinio a sangue freddo di due poliziotti drusi, avvenuto nel luglio 2017, gli incidenti di fine Ramadan, anche in questo caso con assalti ai poliziotti, che hanno dato il pretesto al tentativo di bombardamento di Gerusalemme, all’inizio di questo ciclo di scontri. E ancora, l’assalto a un altro poliziotto,  tre giorni fa, buttato giù dalle scale che portano alla “Cupola della roccia” (il responsabile è stato arrestato ieri). E infine le aggressioni agli ebrei che osano recarsi sul monte, le pietre buttate dall’alto sullo spiazzo del Kotel, gli striscioni con le foto dei capi di Hamas esposti durante i combattimenti. Vedremo come reagiranno alla riapertura del Monte ai fedeli ebrei, deciso ieri dopo venti giorni di chiusura.

     

    Ma questa azione è diversa, perché non è rivolta contro ebrei o forze dell’ordine dello Stato di Israele, bensì contro un alto dirigente, per di più religioso, dell’Autorità Palestinese. Essa ci mostra insomma l’obiettivo vero dell’aggressione militare di Hamas, che era certamente rivolta contro Israele sul piano militare, ma il cui fine politico immediato era mettere fuori gioco i concorrenti dell’Autorità Palestinese. E i dirigenti di Hamas pensano di avere vinto, ma non perché siano stati in grado di sconfiggere Israele sul piano militare: è anzi evidente a tutti, anche a loro e ai loro militanti, che l’esito è stato esattamente il contrario: hanno perso pesantemente. Ma proprio per il fatto di aver tolto dalla scena Fatah e Muhammed Abbas.

     

    Ce lo conferma il discorso celebrativo del leader di Hamas Ismail Haniyeh: “Questa battaglia ha sconfitto le illusioni dei negoziati, ha sconfitto l’accordo del secolo, ha sconfitto la cultura della sconfitta, ha sconfitto i progetti di disperazione, ha sconfitto i progetti di insediamento, ha sconfitto i progetti di convivenza con l’occupazione sionista, ha sconfitto i progetti di normalizzazione [delle relazioni ] con l’occupazione sionista, e quindi la resistenza è la migliore scelta strategica per la liberazione e il ritorno.”

     

    In sostanza per Hamas chi ha perso sono coloro dentro il mondo arabo che accettano, in maggiore o minor misura, la convivenza con Israele. Non è detto che sia così. Le parole di Hanyeh sono chiaramente strumentali ed esagerate. Sul piano internazionale non hanno certo vinto Iran e Hezbollah, finanziatori e fornitori d’armi a Hamas, capofila della “resistenza”; si è dimostrato che le loro armi non sono in grado di impensierire l’esercito israeliano. Invece Egitto, Emirati e perfino l’Arabia, che hanno tenuto un atteggiamento prudente mantenendo buoni rapporti con Israele e riconoscendo chi più chi meno la responsabilità di Hamas, non hanno affatto perduto. Anzi, gli Accordi di Abramo ne escono rafforzati.

     

    Sul piano interno a Israele, la rivolta promossa da Hamas ha colpito molto l’opinione pubblica, ma non si è generalizzata e non è detto che  risulti vincente agli occhi degli arabi israeliani. Non è affatto scontato che essi preferiscano vivere in uno stato di disordine permanente che toglie loro risorse economiche, tranquillità e sicurezza. Non è nemmeno sicuro che questi incidenti impediscano alla lista araba Ra’am, diretta da Mansour Abbas, di entrare nella nuova maggioranza di governo, quale che sia. Mansour Abbas si è mosso molto prudentemente in queste settimane, manifestando solidarietà a Gaza ma rifiutando di appoggiare i tentativi di guerra civile, andando perfino a manifestare solidarietà alle vittime della violenza araba a Lod. È possibile che questo atteggiamento, sincero o strumentale che sia, gli assicuri un ruolo importante.È presto per sapere se ciò avverrà e se sarà un fatto positivo. Ma certamente questa è una novità che va in direzione opposta ai piani di Hamas.

     

    Dove Hamas sembra aver vinto è nello spazio politico dell’Autorità Palestinese, dove certamente la popolarità di Muhammed Abbas e di Fatah è ai minimi storici. Ma Abbas ha, molto opportunamente dal suo punto di vista, annullato le elezioni previste e continuerà a governare nel prossimo futuro. Biden ha dichiarato che gli aiuti che intende assegnare a Gaza dovranno passare dall’Autorità Palestinese, che avrà dunque molti fondi a disposizione per cercare di recuperare consenso. Certamente però Abbas è vecchio, malato, privo di eredi chiari e governa su un sistema corrotto e impopolare. È possibile che in un modo o nell’altro Hamas riesca a prendere il potere dopo di lui. Questo è certamente un grande problema: Israele si troverebbe ad avere a fianco, non solo a Gaza che è ben circondata da una barriera di sicurezza, ma anche nel territorio assai più frastagliato di Giudea e Samaria, un’organizzazione apertamente terrorista e altrettanto apertamente contraria a ogni compromesso. Se ciò accadesse, ci potrebbe essere un periodo molto difficile sul piano della sicurezza. Certamente sarebbero smascherati alcuni equivoci, come quello del “processo di pace” e dei “due stati” propugnati dalla sinistra europea e americana. Ma non è affatto detto che l’appoggia al palestinismo da parte di queste forze cesserebbe. E forse anche Hamas dovrebbe riaggiustare il suo ruolo e inserirsi nella politica dell’ambiguità che è stata la linea di Abbas e prima di lui di Arafat. Sono scenari ancora vaghi, ma senza dubbio bisogna iniziare a pensarci.

    CONDIVIDI SU: