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    ISRAELE

    Il ruolo delle alleanze e gli odi antichi fra i nemici di Israele

    Il problema del Monte Meron
    Il portavoce militare israeliano ha confermato il danneggiamento del centro di osservazione e di controllo ottico del traffico aereo “506”, situato sul monte Meron in Alta Galilea, a causa di un missile degli Hezbollah, di cui avevo parlato ieri, assicurando però che la continuità del lavoro essenziale di monitoraggio dello spazio aereo per prevenire minacce era garantita, dato che tutti gli elementi fondamentali della difesa hanno un ricambio. Resta però il problema di come abbia potuto passare questo tiro diretto su un’istallazione militare importante e chiaramente molto esposta, dato che si trova proprio sulla vetta di una delle montagne più alte di Israele. Soprattutto è necessario capire in fretta quali contromisure si possano prendere. A quanto pare, il problema consiste nel fatto che i terroristi di Hezbollah hanno usato un moderno missile anticarro a guida laser di fabbricazione russa, il Kornet-E, che ha grande capacità di penetrazione, essendo capace di passare oltre anche corazzature di un metro di acciaio, e viene sparato da distanza ravvicinata su una traiettoria diretta, evitando così l’intercettazione di Iron Dome. Hezbollah aveva già usato quest’arma qualche volta durante i mesi scorsi, avendola evidentemente ricevuta dall’Iran, che a sua volta l’ha ottenuta dalla Russia. Sembra che i carri armati israeliani più recenti abbiano una difesa attiva efficace contro i razzi anticarro (RPG), cioè un sistema che li percepisce automaticamente e li distrugge in volo e che questo dispositivo sia efficace anche contro questi Kornet; ma evidentemente non sono stati predisposti per le istallazioni fisse. La disponibilità dei terroristi di quest’arma, oltre a segnalare un possibile problema militare per un’eventuale operazione di terra analoga a quella che i carri israeliani avevano trovato nel 2006, mette in evidenza anche la catena dei rifornimenti bellici che ha molto rafforzato Hezbollah: dalla Russia all’Iran, dall’Iran a Hezbollah attraverso Iraq e Siria.
    La grande scissione fra sciiti e sunniti
    In tema di relazioni internazionali, vale la pena anche di fare una riflessione sul grande attentato subito dall’Iran durante le celebrazioni del quarto anniversario dell’eliminazione da parte degli americani del generale Qasem Soleimani, divenuto una sorta di eroe nazionale per il regime iraniano e i terroristi che ne dipendono. Si è trattato di due bombe fatte esplodere a Kerman, dov’è la sua tomba, mentre passava il corteo dei militanti venuti a ricordarlo. All’inizio si era parlato di quasi duecento cadaveri, poi il bilancio ufficiale si è misteriosamente ridotto a una settantina di morti; si tratta di uno di quei dettagli che in una dittatura come quella iraniana resteranno per sempre segreti. Il regime ha subito indicato Israele come responsabile dell’attacco, anche se una bomba in mezza alla folla è un comportamento del tutto alieno al modo di operare di Israele, che semmai ha purtroppo spesso subito queste forme di terrorismo. Infatti è venuta immediatamente alla luce la rivendicazione dello “Stato Islamico” (Isis o Daesh, come lo si indica di solito) e sono state pubblicate in rete le immagini dei due attentatori suicidi responsabili del crimine. Il messaggio, al solito delirante, se la prende soprattutto con Israele per la sua autodifesa a Gaza. Perché allora colpire l’Iran, che è il primo nemico di Israele? La ragione è l’antica divisione fra sciiti e sunniti. Lo “Stato Islamico” rappresenta la tendenza più estrema dei sunniti, ancor più estrema della Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è il braccio armato in terra di Israele. Per loro gli ebrei sono il nemico principale, ma gli sciiti (come la maggioranza in Iran e Hezbollah) non sono molto meglio, li definiscono “politeisti”. E neppure nel momento della guerra con Israele sono in grado di superare questa divisione. A un livello meno estremo, c’è comunque una lotta fra stati sunniti moderati o conservatori (come l’Egitto, l’Arabia, gli Emirati, il Marocco) e il grande stato sciita (l’Iran) che cerca di sconvolgere l’equilibrio del potere in Medio Oriente. Per gli ayatollah che governano l’Iran l’odio per Israele è certamente sincero, ma è anche un pretesto per costruire un impero regionale dall’Oceano Indiano al Mediterraneo al Mar Rosso, che dopo oltre un millennio sottometta la grande maggioranza sunnita allo sciismo. L’alleanza più o meno tacita degli stati moderati sunniti con Israele si capisce meglio pensando a questo sfondo strategico.
    Le divisioni politiche in Israele
    Va segnalato infine che in Israele vi è qualche segno di ripresa della polemica politica che era stata sospesa per la guerra. Il primo sintomo sono le due sentenze della Corte Suprema: l’una che ha annullato la legge che avrebbe impedito alla Corte stessa di prendere decisioni non sulla base di leggi ma di un generico e soggettivo criterio di ragionevolezza; l’altra che ha rinviato alla prossima legislatura la legge contenente le disposizioni che definiscono e limitano la possibilità di destituire il Primo Ministro. Entrambe le sentenze, che annullano leggi di rango “quasi costituzionale”, sono state viste come attacchi alla maggioranza da parte del principale soggetto istituzionale sottratto alla verifica elettorale. Ma vi è stato anche uno scontro molto duro nell’ultimo consiglio dei ministri di domenica, quando il capo di stato maggiore delle forze armate Herzi Halevi ha annunciato di aver stabilito una sua commissione di inchiesta sul comportamento dell’esercito il 7 ottobre, violando così la decisione di riservare un’inchiesta approfondita sui problemi che hanno portato alla strage per una commissione di stato da nominare appena finita la guerra. I partiti di destra hanno polemizzato con Halevi per questa scelta e sono stati duramente rimbeccati dal ministro della difesa Gallant e da Gantz, l’esponente dell’opposizione che si è unito al governo di unità nazionale ed è lui stesso un ex capo di stato maggiore. Alla fine c’è stato un appello all’unità da parte di Netanyahu, ribadito poi davanti ai giornalisti. Ma è chiaro che emerge la fatica della lunga convivenza di forze politiche e istituzionali che seguono agende assai diverse, se non sulla guerra, sulle politiche che dovranno essere adottate in seguito.
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