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    ISRAELE

    Il riservista più anziano della storia d’Israele

    Intervista a Ezra Yachin

    Ogni guerra ha il proprio volto. Migliaia di morti, centinaia di ostaggi, decine e decine di soldati: eppure resta impressa un’immagine che, talvolta, racchiude in sé tutte le vittime, gli eroi, raccontando così la loro storia, nonché il dramma della tragedia in corso. Ecco che, tra i volti simbolo della guerra in corso in Israele, vi è senza dubbio quello di Ezra Yachin. Un personaggio straordinario, quasi sconosciuto prima del 7 ottobre, finito sotto i riflettori a Yom Ha-Atzmaut quando è stato chiamato ad accendere la torcia nella cerimonia annuale per l’anniversario dell’indipendenza: in questi mesi, Ezra è diventato il nonno più amato del Paese. Attenzione, non un nonno docile, ma un nonno forte e coraggioso. Ezra, che recentemente ha spento 96 candeline ed è stato nominato il riservista più anziano della storia d’Israele, rappresenta oggi agli occhi degli israeliani l’ultimo anello di una lunga catena che unisce generazioni e generazioni di soldati israeliani che si sono battuti e che si battono ancora per l’indipendenza del loro Paese. Già all’età di 15 anni, infatti, il giovane Ezra si era unito al Lehi, un’organizzazione paramilitare sionista fondata da Avraham Stern prima della fondazione dello Stato d’Israele, per combattere contro gli inglesi e gli arabi a favore della creazione di una patria ebraica. Ezra ha poi combattuto nella Guerra d’Indipendenza e nei conflitti successivi, fino all’operazione Spade di Ferro in corso. Ezra ha raccontato a Shalom con lucidità strabiliante cosa è avvenuto in lui il 7 ottobre che l’ha convinto a indossare di nuovo la divisa dopo così tanti anni dall’ultima volta, e ha lanciato un messaggio colmo di speranza per chiunque tema le sorti del Paese.

    Come sei diventato il riservista più anziano di Israele?
    Il 7 ottobre, il giorno della strage, ero a casa di mio figlio per festeggiare insieme a lui e ai miei nipoti Succot. Già di primo mattino mi era stato riferito ciò che stava accadendo nel sud di Israele, ma non potevo fare nulla se non pregare. La sera, all’uscita di Moed, ho immediatamente chiamato l’esercito. Ho detto loro di volermi arruolare e loro mi hanno risposto con due semplici parole: “Ti aspettiamo”.

    Così, senza esitare?
    Ho 96 anni, non ho tempo di esitare. Ovviamente non mi hanno preso per combattere, ma mi hanno affidato un ruolo speciale: sollevare il morale dei giovani combattenti e rafforzare il loro spirito. Ho girato il Paese in lungo e in largo in elicottero, per arrivare in quante più basi militari e incontrare quanti più soldati. Ho raccontato loro la mia storia, ho passato loro il testimone.

    Come hai trovato questa generazione di soldati?
    È la generazione più forte che l’esercito abbia avuto dalla fondazione di Israele ad oggi.

    Eppure era denominata la “generazione di TikTok” e si diceva che questi giovani fossero viziati e poco ideologici.
    Non sono cosa sia TikTok, ma sono tutte baggianate. Viziati? Al contrario, ho incontrato dei leoni. Fortissimi, coraggiosissimi. Ragazzi che sacrificano la loro vita per difendere la propria casa.

    Ezra, tu hai combattuto decine di guerre d’Israele. Hai visto l’esercito in tutte le fasi della sua evoluzione. Cosa credi che sia cambiato maggiormente negli ultimi anni?
    Quando facevo parte del Lehi, combattevo con un fucile malmesso. Oggi i soldati utilizzano armi sofisticate, precise, estremamente tecnologiche. Siamo diventati uno degli eserciti più forti del mondo, non c’è dubbio, eppure abbiamo perso una cosa: la creatività. Ai miei tempi avevamo pochissimi mezzi, eppure ottenevamo dei risultati incredibili poiché utilizzavamo al meglio la nostra mente ebraica. Oggi l’esercito utilizza meno la creatività e più la tecnologia.

    Tu, in effetti, hai combattuto la Guerra d’Indipendenza nel ’48. Cosa ricordi di quei giorni?
    Il giorno in cui Ben Gurion ha annunciato la fondazione dello Stato d’Israele, io e i miei compagni di battaglione stavamo combattendo attorno alle mura della città vecchia a Gerusalemme. L’indomani, uno dei soldati ci ha raccontato di aver sentito alla radio che Israele era stata fondata. Che avevamo uno Stato tutto nostro.

    Cos’hai provato in quel momento?
    Una felicità infinita durata un istante. Ero nel mezzo di un combattimento molto duro. Ho perso diversi amici attorno a quelle mura. Mi morivano accanto, uno ad uno. Ricordo ancora oggi la dissonanza incredibile che ho provato, lacerato dalla felicità collettiva e dalla mia tristezza individuale.

    Nel ’48 la guerra è stata esistenziale. Credi che anche oggi Israele stia combattendo per sopravvivere? La sua esistenza è di nuovo messa in discussione?
    No, non credo che qualcuno possa più mettere in discussione la nostra esistenza. Siamo forti, ormai. Credo invece che Israele stia combattendo questa guerra per riaffermarsi nel territorio. Il messaggio è uno: “Esistiamo, non abbiamo più paura”. Ecco, gli israeliani meritano di vivere in sicurezza. Non possono continuare a vivere nel terrore.

    Con il trascorrere degli anni, diventi più ottimista o più pessimista circa il futuro di Israele?
    Ero e sono rimasto un ottimista. Non so quanto sarà alto il prezzo da pagare, ma so che alla fine vinceremo.

    Ezra, a 96 anni sei più forte ed energico di me. Qual è il tuo segreto?
    Nessun segreto, è la fede a darmi la forza.

    La fede in?
    Dio, ovviamente. Ma anche nel mio popolo.

    Cosa riesce ancora ad emozionarti?
    Questi giovani soldati mi emozionano moltissimo. Vederli così uniti, mi riempie il cuore.

    Ricordi un momento in particolare che ti ha segnato in questa guerra?
    Quando mio figlio è rimasto ferito a Gaza, ho temuto il peggio. All’età di 55 anni anche lui, come me, è un riservista volontario. Ha combattuto per un mese nella Striscia, fino a quando è stato colpito ad una gamba con un proiettile da un cecchino palestinese. Ha dovuto subire sette interventi diversi e quattro mesi di riabilitazione. Oggi sta meglio ringraziando il cielo.

    Non esiste madre israeliana che non abbia detto al proprio figlio neonato almeno una volta la famosa frase: “Quando sarai grande non dovrai arruolarti, perché non ci saranno più guerre”. È una frase che riusciresti a dire oggi a tuo nipote?
    Sono ottimista, sì, ma anche realista. Credo infatti che Israele sia uno Stato che ha e avrà sempre bisogno di un esercito forte pronto a combattere. Anche se e quando arriveranno i tempi di pace, non potremo mai abbassare del tutto la guardia. Inoltre, credo che la leva militare renda migliori i nostri giovani. In un Paese come Israele, in una società frammentata come quella israeliana, nell’esercito i ragazzi sono tutti uguali. Di destra e di sinistra, ashkenaziti e sefarditi, laici e religiosi, poveri e ricchi: quando si indossa la divisa, si diventa un gruppo omogeneo di persone che hanno un passato diverso, ma un presente e un futuro comune.

    Ezra, quando a 120 anni te ne andrai, nelle mani di chi lascerai il tuo amato Paese?
    Nelle mani dei miei nipoti e dei loro amici. Mi fido di questi giovani, mi fido ciecamente. So che faranno meglio di quanto siamo riusciti a fare noi. So che grazie a loro torneranno i giorni migliori di pace e di unione. So che Israele continuerà a vivere, sempre e per sempre.

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