Un’operazione militare micidiale di grande livello organizzativo
Il terribile attacco che Israele ha subito dalla mattina di sabato non è un semplice attentato terrorista, anche se in scala enormemente accresciuta rispetto al solito. È un vero e proprio atto di guerra non solo per le dimensioni delle perdite (oltre seicento cinquanta morti, duemila feriti in ospedale, più di cento israeliani rapiti), ma soprattutto per il modo estremamente sofisticato in cui è stato progettato ed eseguito. Chi l’ha guidato ha saputo sfruttare le circostanze esterne favorevoli (la ricorrenza della festa di Simchat Torà, ma anche la presenza di centinaia di giovani a un rave a poca distanza dal confine), ha coordinato con micidiale tempismo attacchi dall’aria (parapendii a motore), dal mare, da terra con l’uso ben organizzato di esplosivi e bulldozer per sfondare la barriera di sicurezza e di moto e veicoli per dilatare l’arco di azione dei terroristi, e ha mostrato di aver studiato bene routine, posizioni e punti deboli operativi delle forze di sicurezza israeliane e di conoscere bene i luoghi in cui penetrare per uccidere e rapire gli israeliani. Di più, ha probabilmente usato tecniche molto avanzate di guerra elettronica per neutralizzare i numerosi sistemi cibernetici di sorveglianza installati intorno alla Striscia e forse anche impedito le comunicazioni militari, tanto da non incontrare quasi opposizione organizzata per le prime ore. Infine è riuscito, nonostante le grandi dimensione dell’operazione, a non mettere in allarme i servizi di sicurezza, che dovrebbero sorvegliare giorno e notte le basi terroristiche. Israele avrà tempo dopo la fine della guerra per capire le ragioni del fallimento degli apparati informativi umani ed elettronici e magari potrà riflettere sulla rigidità organizzativa che ha reso così vulnerabili le forze di difesa.
L’origine dell’attacco
Tutto quel che si è detto mostra che l’attacco non può essere attribuito a Hamas e alle altre sigle terroristiche, ma deve essere stato direttamente progettato e coordinato dall’Iran. Non solo l’Iran è il principale beneficiario dell’operazione perché essa indebolisce l’immagine militare vincente di Israele e richiede una reazione di Israele su Gaza che si presterà a rinnovare la propaganda contro lo Stato ebraico, rendendo difficile e rallentando l’intesa con l’Arabia Saudita che è il solo modo di bloccare l’imperialismo iraniano. Inoltre l’impero persiano ha molti conti da saldare e molte vendette da prendere. Ma solo il regime di ayatollah ha nella regione i mezzi e la competenza su droni, hacking dei sistemi informatici, coordinamento interforze. Hamas ha fornito la manovalanza del terrore, ci ha aggiunto la crudeltà, il sadismo, la barbarie. Ma il piano nasce certamente a Teheran, come dicono anche i ringraziamenti immediatamente resi pubblici da Hamas.
Le difficoltà della guerra
Da questa origine deriva la maggior difficoltà della posizione di Israele. Sia perché l’Iran controlla a nord di Israele il regime siriano e soprattutto Hezbollah in Libano, molto meglio armati di Hamas e già sul piede di guerra. L’intervento di Hezbollah potrebbe essere questione di ore e prenderebbe Israele fra due fuochi, con una densità missilistica certamente superiore al limite di saturazione delle difese israeliane, con altri danni enormi. Ma anche se ciò non accadesse, le migliori forze dell’esercito israeliano dovranno restare bloccate in Galilea per contrastare il rischio di una seconda invasione. Inoltre, se la reazione di Israele portasse le sue truppe dentro Gaza, com’è probabile, si può essere sicuri che gli esperti iraniani abbiano preparato nuove trappole e che il prezzo da pagare per riprendere anche provvisoriamente il controllo della Striscia rischia di essere molto alto. Israele avrà così di fronte il problema strategico che ha già incontrato a partire dal 2014 in circostanze analoghe: quanto penetrare nel territorio nemico? Quali sono i costi necessari per arrivare fino al centro di Gaza e magari per avventurarsi nella rete dei tunnel dove Hamas tiene armi, truppe e anche gli ostaggi? È possibile smantellare l’organizzazione e il potere dei terroristi senza usare mezzi tecnicamente possibili, come i bombardamenti a tappeto, ma che non sono politicamente accettabili perché colpirebbero pesantemente la popolazione civile? Ma se Hamas venisse solo danneggiato, per quanto pesantemente, e non distrutto, si può essere sicuri che l’Iran gli fornirà i mezzi per riarmarsi. E tutto ricomincerà da capo.
Schiacciare la testa del serpente?
La soluzione sarebbe colpire il centro direzionale, la testa del serpente, cioè l’Iran. Il quale però, secondo fonti americane, è in possesso di tutto ciò che serve per allestire la bomba atomica e si è fermato a sole due settimane di lavoro dalla sua realizzazione. Inoltre è un alleato cruciale per la Russia e gode della benevolenza dell’amministrazione Biden (e prima di Obama), nonostante le sue provocazioni anti-americane. Israele potrebbe tentare di distruggere l’arsenale nucleare iraniano ma solo con un colpo decisivo e non ripetibile, che avrebbe bisogno dell’appoggio Usa. Il rischio di una mossa del genere è una guerra regionale aperta.
Che fare allora?
Non ci sono soluzione miracolistiche. Israele ha bisogno di ridimensionare il potere dei terroristi a Gaza, anche a costo di perdite militari. È una guerra d’attrito di cui non si può prevedere il termine. Dovrà cercare di liberare gli ostaggi e questo sarà difficilissimo, senza cedere al ricatto di Hamas, che proverà a usarli per liberare i terroristi condannati. Sarà necessario rivedere il funzionamento degli apparati di sicurezza e anche le politiche tenute finora rispetto a Gaza sulla base dell’erronea condizione di un carattere “moderato” di Hamas. Bisognerà stringere le alleanze con l’Arabia Saudita innanzitutto e poi con chiunque si opponga all’asse Iran/Russia. Sarà necessario superare le divisioni interne che hanno contribuito a dare un’impressione di vulnerabilità e probabilmente innovare il sistema politico e amministrativo. Bisognerà avere la pazienza di Giobbe e continuare a prevenire il terrorismo, giorno dopo giorno, senza cadere in trappole come quella di questi giorni. Non sono compiti piccoli e non si risolveranno neppure nell’arco delle parecchie settimane che serviranno per l’operazione militare. Ma ne va della vita dello Stato ebraico. L’appoggio interno e anche di noi ebrei della diaspora è indispensabile.