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    ISRAELE

    Il problema della tregua

    La proposta di Biden
    Ma perché non volete un cessate il fuoco? Perché non fate una tregua per salvare gli ostaggi? Sono domande che sentiamo spesso, anche da parte degli amici e certamente in cuor nostro ci siamo posti più di una volta questioni del genere. Soprattutto quando i giornali parlano di nuovi piani per sospendere e magari concludere la guerra. Vi sono state decine di tali progetti in questi otto mesi, spesso annunciati in maniera trionfalistica dai giornali. L’ultimo caso è il cosiddetto “Piano Biden” che però il presidente americano attribuisce (certamente per motivi negoziali) a una fonte israeliana, anche se questo non risulta vero. Israele ha comunque dichiarato di considerare “cattivo” il progetto Biden, ma di essere disposto ad accettarlo con le opportune precisazioni. Lo schema americano, condiviso con Egitto e Qatar, non è però molto diverso dai tanti già proposti.

    La sintesi del piano
    Prima fase: entrambe le parti rispetterebbero un cessate il fuoco di sei settimane. Israele si ritirerebbe dai principali centri abitati di Gaza e un certo numero di rapiti verrebbero rilasciati: donne, anziani e feriti, in cambio di centinaia di palestinesi condannati spesso di multipli omicidi e incarcerati. Gli aiuti a Gaza crescerebbero arrivando a circa 600 camion al giorno. Durante la prima fase, Israele e Hamas continuerebbero a negoziare per raggiungere un cessate il fuoco permanente. Se i colloqui durassero più di sei settimane, la prima fase della tregua continuerebbe fino a quando non si raggiungesse un accordo, ha detto Biden.
    Seconda fase: con un cessate il fuoco permanente, Israele si ritirerebbe completamente da Gaza. Tutti i restanti ostaggi israeliani viventi sarebbero rilasciati, compresi i soldati maschi, e in cambio verrebbero scarcerati altri detenuti palestinesi, a centinaia.
    Terza fase: Hamas restituirebbe i resti degli ostaggi morti. Le macerie verrebbero rimosse e inizierebbe un periodo di ricostruzione da tre a cinque anni, sostenuto dagli Stati Uniti, dall’Europa e dalle istituzioni internazionali.

    I problemi
    Si tratta di uno schema estremamente povero, così generico da dare a Hamas praticamente quel che vuole. Israele lo vuole rendere concreto e fa alcune domande essenziali: quanti sono gli ostaggi vivi? Chi governerebbe Gaza dopo l’eventuale ritiro? Hamas certamente cercherà di sfruttare un cessate il fuoco per ricostituire il suo dominio a Gaza. Come essere sicuri che non si ripeta un 7 ottobre? Che garanzie che non ricominci subito il riarmo di Hamas? E che non si prolunghi artificialmente il cessate il fuoco, con trucchi negoziali o col semplice rifiuto di mettersi d’accordo, per trasformarlo in una tregua permanente anche senza liberare i rapiti? I terroristi dal canto loro non vogliono dare queste informazioni e sono disposti a trattare sul cessate in fuoco solo dopo e non prima del ritiro israeliano. O almeno vogliono la garanzia americana che comunque vadano le cose, Israele sarà costretto a ritirarsi da Gaza, senza terminare l’eliminazione delle loro forze militari e dei loro capi.

    Un bluff?
    È probabile insomma che il Piano Biden sia un bluff destinato soprattutto alla politica interna americana, e insieme sia una mossa nel tentativo di Biden di destabilizzare il governo israeliano per averne un altro guidato dalla sinistra e disposto a far prevalere gli interessi elettorali democratici sulla sicurezza di Israele. Ed è probabile che sia un bluff anche l’accettazione del governo israeliano pressato dagli americani e da un’opposizione di sinistra sempre più inquieta. Ed è un bluff naturalmente anche da parte di Hamas. Bisogna aver chiaro infatti che i terroristi non hanno fatto il massacro del 7 ottobre e rapito centinaia di persone allo scopo di far tacere le armi. Bastava che non facessero partire il pogrom e Gaza sarebbe rimasta in pace. Non si sono mossi per un’esplosione incontrollata di fanatismo, ma con un piano preciso e un obiettivo chiarissimo.

    Quel che vogliono i terroristi
    L’obiettivo di Hamas (e di Hezbollah, degli Houti, in definitiva dell’Iran) è la distruzione di Israele. Non possono sperare di ottenerla in un colpo solo, quindi si tratta di un piano a fasi che mira a indebolire, destabilizzare, isolare progressivamente lo Stato ebraico. Il 7 ottobre serviva a mostrare al mondo che Israele non è invincibile e a demoralizzare e dividere i suoi cittadini. Il rapimento degli ostaggi era finalizzato a ricattare il Paese e frammentare la sua opinione pubblica: sono obiettivi politici e non puramente militari, che in parte sono stati raggiunti. La trattativa serve a questi stessi scopi. Hamas non ha certamente sacrificato buona parte delle sue forze e costretto Israele a una difficile e dolorosa guerriglia urbana con molti caduti, al fine di ottenere alla fine la pace, e neppure di liberare qualche suo terrorista catturato e condannato. Lo scopo è quello di uscirne con un vantaggio politico sostanziale nel cammino verso la distruzione di Israele e la propria affermazione come organizzazione guida di questo progetto. Cioè la chiara sconfitta (politica, non militare) di Israele. Probabilmente non pensava di avere tanti alleati nei ceti intellettuali e nei dirigenti politici di Europa e Usa, molti di più di quanti ne abbia nel mondo arabo.

    Ciò cui Israele non può rinunciare
    Israele non può limitarsi a chiudere la guerra ottenendo indietro i rapiti sopravvissuti a otto mesi di sevizie, perché facendolo accetterebbe che si possa devastare il suo territorio, rapire i suoi cittadini, violentare le sue donne, bombardare la sue città e sopravvivere. Consentirebbe cioè all’esempio che Hamas vuole dare e aprirebbe la strada a altri episodi di terrorismo di massa, bombardamenti, stragi, stupri. Darebbe ragione a coloro che, come dicono spesso i terroristi “preferiscono la morte alla vita”. Salvare alcuni rapiti senza eliminare i rapitori, magari tenendosi addosso l’odio delle classi dirigenti occidentali e lo scetticismo degli alleati mediorientali, sarebbe un suicidio collettivo. La maggior parte degli israeliani, come mostrano i sondaggi, capisce benissimo la posta in gioco.

    Perché il cessate il fuoco non può che essere provvisorio
    Come ha detto Netanyahu, Israele può sospendere i combattimenti, non può chiudere la guerra senza aver eliminato completamente Hamas (e fatto i conti con Hezbollah, che è sempre più attivo). La pressione degli Usa e degli europei costringe Israele a diluire e prolungare la guerra, a combatterla con crescenti limiti tattici. Ma se Israele non vuole cadere in una terribile spirale terroristica, deve portare avanti questa guerra e vincerla chiaramente, senza consentire scappatoie ai terroristi. Sarà durissima, dovrà probabilmente farlo da solo, ma questo è lo spirito di Israele.

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