L’avanzata dei ribelli filoturchi
La situazione in Siria sembra essersi provvisoriamente stabilizzata. Le varie forze sunnite filoturche ma legate anche all’eredità dell’Isis e di Al Qaida, oggi riunite sotto la sigla HTS (Commissione per la salvezza della Siria), controllano un’ampia zona nel nord-ovest del paese, dai confini turchi alla seconda città del paese, Aleppo, a Idlib, fino a Hama, a meta strada con Damasco. Hanno conquistato aeroporti con aerei e elicotteri, fabbriche d’armi, impianti antimissile, grandi centri abitati, industrie; procedendo in direzione sud hanno anche tagliato i collegamenti terrestri est ovest fra il centro del paese e la costa, isolando le basi navali russe. Se raggiungeranno la prossima città del loro percorso, Homs, a meno di 50 km dalle posizioni attuali, bloccheranno l’imbocco orientale della valle della Bekaa, il principale accesso al Libano (e a Hezbollah) per l’Iran. Sono stati segnalati anche vari episodi di appoggio all’HTS nel sud del paese, nella capitale Damasco e ai confini con la Giordania. L’annunciata controffensiva delle forze governative, come l’intervento di reparti sciiti dall’Iraq e addirittura dell’esercito iraniano, per ora non si sono realizzati. Le forze curde, sostenute dagli Stati Uniti, si sono ritirate dalle zone di contatto. A contrastarli per ora sono solo i bombardamenti dell’aviazione russa. Il rallentamento della loro avanzata, all’inizio travolgente, deriva dalla necessità di consolidare le linee di rifornimento e di difesa, che si sono molto estese, e forse dalla pressione di Usa e Russia sulla Turchia.
Il significato strategico
L’irruzione dell’HTS costituisce uno sviluppo strategico importantissimo per tutto il Medio Oriente. L’incapacità del governo siriano, pur appoggiato dalla Russia e dall’Iran, di tenere la parte più ricca e popolosa del paese, mostra non solo il fallimento della sanguinaria dittatura di Assad, ma quello della grande strategia imperialista dell’Iran, concepita quindici anni fa dal generale Qasem Soleimani, cioè la realizzazione di un “ponte terrestre” fra l’altopiano persiano e il Mediterraneo, attraverso Iraq, Siria e Libano, e la conseguente accensione di un “anello di fuoco” intorno a Israele, capace di isolare e distruggere lo Stato ebraico. Proprio il tentativo di iniziare a sfruttare questo “anello” con il pogrom del 7 ottobre e gli attacchi missilistici di Hezbollah, con la conseguente reazione israeliana che ha decimato la forza dei terroristi libanesi, ha provocato le difficoltà attuali del regime siriano. Erano stati infatti proprio i mercenari di Hezbollah a evitare la caduta di Assad. La loro debolezza attuale lo mette di nuovo a rischio.
I precedenti
La situazione attuale in Siria non è infatti una novità assoluta. Il regime di Assad non si era mai del tutto ripreso dalle conseguenze delle agitazioni del 2011 (che la stampa occidentale aveva descritto col nome molto inappropriato di “primavere arabe”). La rivolta integralista dei Fratelli Musulmani sunniti contro il regime alawita protetto dagli sciiti iraniani era stata repressa da Assad in maniera crudelissima, soprattutto perché Obama non aveva fatto rispettare la “linea rossa” da lui stesso proclamata contro le armi chimiche; si era affermato poi in parte della Siria lo “Stato Islamico” (ISIS). Dopo la sua sconfitta si era formato un equilibrio complicato: il governo controllava i grandi deserti al confine sudorientale con l’Iraq e la Giordania, il confine con Israele, la striscia fra Damasco e Aleppo fino alla costa; i curdi tenevano una zona a nordest, fra l’Iraq e la Turchia; i ribelli che oggi avanzano avevano già un loro territorio a Nordovest vicino al confine turco; c’erano basi russe sulla costa e anche sul Golan, dove erano insediate pure truppe di Hezbollah. Gli americani avevano una base a sudest, vicino alla Giordania. La spinta dell’Hts ha più che raddoppiato il loro territorio e rischia di far saltare questi precari equilibri.
Gli interessi di Israele
A Israele naturalmente la crisi della strategia imperialistica degli ayatollah e soprattutto il blocco delle vie di rifornimento delle armi iraniane a Hezbollah non possono che far piacere; anche le difficoltà di un nemico permanente come Assad non dispiace – anche se certi media hanno rilanciato la voce poco plausibile che il dittatore siriano avrebbe chiesto aiuto proprio allo Stato ebraico che in linea di principio non lo avrebbe rifiutato. Ma non vi è dubbio che i jihadisti dell’Hts con la loro ideologia integralista e i loro metodi terroristi siano dei nemici pericolosi per cui Israele non ha alcuna simpatia. Averli al confine del Golan aumenterebbe il rischio di avere un nuovo fronte attivo di offensiva terroristica. Del resto il loro grande protettore Erdogan non ha mancato occasione negli ultimi anni per esprimere odio per lo Stato ebraico e solidarietà per il terrorismo di Hamas. A Israele può dunque convenire che l’azione dei ribelli si estenda fino a Homs, rendendo più difficile l’accesso dell’Iran al Libano, ma non è auspicabile la loro conquista di Damasco e tantomeno del Golan siriano.
Le prospettive
È impossibile prevedere come si evolverà la situazione. Iran e Russia hanno certamente i mezzi per bloccare i ribelli, ma non è detto che si sentano di usarli, impegnati come sono su altri fronti. Gli Usa non sembrano avere deciso un intervento. Né il regime siriano né Hezbollah sembrano in grado da soli di respingere Hts; potrebbero intervenire milizie irachene, ma della loro capacità bellica si sa poco. La Turchia potrebbe negoziare su diversi fronti (Russia, Iran, la stessa Siria) dei vantaggi politici come prezzo per fermare i suoi protetti, che però sono divisi in gruppi autonomi, non tutti facilmente controllabili. E vi sono molti in Siria che attendono una vendetta per le stragi di massa di cui Assad si è reso responsabile nell’ultimo decennio. Insomma la situazione è aperta e incerta e potrebbe degenerare in una grande guerra. Ma dato che non è possibile attribuirne la responsabilità a Israele, pochi vi badano.