La fondazione dello Stato di Israele, si sa, avvenne il 18 maggio 1948, con la firma della Dichiarazione di Indipendenza, proclamata a Tel Aviv da David Ben Gurion. Ma sei mesi prima circa, a New York, fu approvato l’atto che la rese politicamente possibile, con l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu del piano di Partizione del mandato britannico di Palestina. Era il 29 novembre 1947, esattamente settantaquattro anni fa.
La premessa fondamentale di questo atto era la decisione della Società delle Nazioni (l’antecedente diretto dell’Onu, le cui deliberazioni erano state recepite integralmente alla fondazione di quest’ultimo) che nel 1922 decise l’istituzione di un Mandato (cioè un’organizzazione transitoria semistatale, sotto il controllo internazionale, destinata a un compito specifico) il cui scopo era organizzare la costruzione di una “National home” (espressione che di solito si traduce buffamente come “focolare”, ma significa semplicemente “patria”) per il popolo ebraico, favorendone l’immigrazione e lo stanziamento. La Gran Bretagna, attenta solo a salvaguardare propri declinanti interessi coloniali, tradì quasi subito l’incarico ottenuto, favorendo a scapito degli ebrei le pretese arabe di ottenere per loro anche le terre del mandato, oltre alla Transgiordania e il resto del Medio Oriente. Per questa ragione l’Inghilterra limitò progressivamente sempre più l’immigrazione ebraica, anche quando si trattava di ebrei che cercavano di fuggire dal nazismo. Raramente si parla della complicità britannica nella Shoà, ma su questo punto essa è chiara: degli ebrei tedeschi e dell’Europa orientale si salvarono quasi solo quelli che riuscirono a emigrare, in particolare in Terra di Israele.
Questa politica antiebraica della Gran Bretagna continuò anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando pure gli ebrei del Mandato avevano cessato ogni opposizione e si erano arruolati nell’esercito inglese, costituendo la Brigata Ebraica. Ma di fronte al respingimento sistematico dei deportati che cercavano una casa amica dopo l’orrore dei Lager, come nel caso della nave “Exodus”, l’opposizione ebraica riprese anche con forma molto dure di guerriglia. Contemporaneamente gli arabi continuarono nei loro pogrom contro gli insediamenti ebraici. La situazione era insomma insostenibile e la Gran Bretagna nel febbraio 1947 decise di rimettere il mandato all’Onu.
L’ONU designò il 13 maggio 1947 i membri di un Comitato, l’UNSCOP, composto dai rappresentanti di 11 Stati (Australia, Canada, Guatemala, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Cecoslovacchia, Uruguay, Jugoslavia) a fare proposte per risolvere il problema. L’UNSCOP considerò due possibili decisioni. La prima era la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo indipendenti, con Gerusalemme sotto controllo internazionale (secondo quanto previsto del piano di spartizione proposto nel 1937 dalla Commissione Peel). La seconda prevedeva la costituzione di uno Stato federale, che avrebbe compreso sia una zona ebraica, che una araba (secondo quel che aveva previsto il Libro Bianco accettato nel 1939 dal governo britannico). A maggioranza (sette voti contro tre più un astenuto), l’UNSCOP adottò la prima opzione. Nel settembre del 1947 il piano fu portato a una prima votazione all’Assemblea Generale dell’Onu, che in maggioranza lo approvò, ma non raggiunse il quorum dei due terzi necessario; ci fu poi una seconda votazione il 25 novembre, con lo stesso risultato; finalmente il 29 novembre il testo fu approvato con 33 voti a favore contro 13 e con 10 astensioni. Fra i favorevoli vi erano sia gli Usa che l’Urss, una convergenza allora rarissima, e poi i principali paesi europei. Contrari erano i paesi musulmani. Fra gli astenuti si schierò la Gran Bretagna.
La delibera dell’Assemblea generale dell’Onu (che è un voto politico, senza capacità di creare obblighi giuridici) divideva il Mandato in due zone. Agli ebrei andava la pianura costiera da poco a sud di Tel Aviv fino a Haifa, la Galilea orientale intorno al lago di Tiberiade, il Negev orientale a sud di Beer Sheva, ma senza la costa e parte del confine dell’Egitto. Gerusalemme doveva essere amministrata da un corpo internazionale; agli arabi andavano Giudea, Samaria, Galilea orientale fino ad Acco e la zona di Gaza, molto più ampia di oggi. Era un disegno cervellotico, con due strozzature che dividevano sia la parte araba che quella ebraica in tre zone. Essa riduceva di molto il territorio che il Mandato del ‘22 destinava al popolo ebraico. Ma l’Agenzia Ebraica, che governava allora l’Yishuv, l’insediamento ebraico, su spinta di Ben Gurion decise di accettare. Come racconta Amos Oz in una celebre pagina di Una storia di amore e di tenebra in tutti i quartieri ebraici del paese la decisione dell’Onu fu attesa con ansia e festeggiata con entusiasmo chi rifiutò questo piano (come tutti i tentativi di pace precedenti e successivi) fu la parte araba. Il giorno stesso ricominciarono gli assalti contro le posizioni ebraiche, con la tacita complicità degli inglesi. Quando questi ultimi finalmente si ritirarono, nel maggio dell’anno successivo, e fu proclamato lo stato ebraico nei termini approvati dall’Onu, immediatamente arrivò l’aggressione di sei eserciti arabi, che pensavano di poter facilmente uccidere il nuovo stato nella culla. Ma le cose, come sappiamo, sono andate diversamente. E il 29 novembre resta una data da ricordare, quella in cui la comunità internazionale decise che poteva rinascere dopo venti secoli uno stato degli ebrei.