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    I giornali israeliani accusano le intercettazioni abusive della polizia

    Uno scandalo scuote da qualche giorno il mondo politico e le istituzioni di sicurezza di Israele. Si tratta del sospetto di un uso molto vasto e illegale da parte della polizia di strumenti informatici non solo per intercettare senza le necessarie autorizzazioni conversazioni da cellulari di indagati, possibili testimoni e cittadini comuni, ma anche per raggiungere anche tutti i documenti che vi sono contenuti o sono accessibili da esso: foto, testi, filmati, messaggi. In sostanza tutta la vita privata economica e sociale di molte persone, anche solo vagamente sospette e non formalmente indagate, sarebbe stata carpita e immagazzinata nei server della polizia e dei pubblici ministeri. L’uso da parte di veri governi contro oppositori e giornalisti di un software commerciale israeliano, chiamato Pegasus, capace di compiere questa invasione, era stato denunciato negli scorsi mesi dalla stampa internazionale.

     

    La versione israeliana è probabilmente ancora più perfezionata, perché dev’essere quella elaborata per spiare i terroristi e i nemici militari, che ha dato buona prova di sé, per esempio contribuendo alla difesa di Israele rispetto all’Iran. Ma in questo caso l’uso sembra stato del tutto slegato a questioni di sicurezza. Finora, 26 persone sono state identificate come vittime dell’hacking, inclusi i direttori generali di diversi ministeri, il figlio dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Avner; testimoni chiave nel caso di corruzione contro Netanyahu; leader sindacali e diversi sindaci: Miriam Feirberg ( Netanya), Yoram Shimon (Mevaseret Zion), Yaakov Peretz (Kiryat Ata) e Motti Sasson (Holon). Questo è almeno è quel che ha denunciato il quotidiano economico Calcolist; ma altre fonti hanno aggiunto diverse altre categorie di persone: giornalisti, dirigenti d’azienda, membri della comunità ebraica provenienti dall’Etiopia, giovani sionisti religiosi. Il caso per cui è emerso lo scandalo è quello di un testimone chiave del processo Netanyahu, Shlomo Filber, dirigente del Ministero delle Comunicazioni. La cosa è resa più grave dal fatto che un paio di mesi fa un altro testimone dell’accusa, Nir Hafetz, ha dichiarato durante la sua testimonianza in tribunale di essere stato minacciato che i suoi segreti  le sue relazioni irregolari sarebbero stati rivelati in pubblico, se non avesse accusato Netnyahu.

     

    La legge israeliana prevede che le intercettazioni debbano essere autorizzate caso per caso dal giudice competente e questo sembra che non sia accaduto, almeno in alcuni casi. Sembra anche che la polizia abbia reso false dichiarazioni ai giudici competenti con la copertura della pubblica accusa. Sarebbe un inganno gravissimo, che scuoterebbe la fiducia in un corpo fondamentale per la sicurezza di Israele. Il capo della Polizia israeliana recentemente nominato, Kobi Shabtai, ha però negato che l’inchiesta interna che ha ordinato abbia trovato prove di irregolarità sistematiche. Anche il primo ministro Bennett ha ordinato un’inchiesta, sostenendo però che le intercettazioni devono essere mantenute contro la criminalità organizzata; e altrettanto ha fatto il nuovo procuratore generale, la prima donna nel ruolo, Gali Baharav Miara, che usando per la prima volta i suoi grandi poteri ha incaricato il Mossad e lo Shin Bet di ispezionare i centri informatici della polizia per cercare prove di intromissioni informatiche irregolari. Intanto il tribunale che deve giudicare Netanyahu ha rinviato le udienze in cui doveva testimoniare Filber fino a che la pubblica accusa non risponderà alle contestazioni della difesa di Netanyahu.

     

    Insomma, molto probabilmente vi sono stati degli abusi gravi, l’applicazione alle indagini della polizia di mezzi riservati alla difesa nazionale e ai servizi. Ma anche in questa crisi la democrazia israeliana ha dimostrato di saper affrontare i problemi che si presentano e di avere la volontà e i mezzi per risolverli.

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