Un movimento politico si giudica dalla propria ideologia, che spesso si trova iscritta nel suo statuto, e dai programmi che produce per applicarla. Nel caso di movimenti rivoluzionari o terroristi, spesso però questi programmi non sono elaborati o resi espliciti, per non scontentare o allarmare nessuno. Capita così anche coi movimenti “palestinisti”, che lasciano scritto nei loro statuti che il loro obiettivo è la distruzione di Israele e la sostituzione con uno stato arabo musulmano, o addirittura con la nazione araba unificata, ma poi spesso fanno intendere che sono disponibili ad accordi di pace. In questa maniera la sinistra anche israeliana e la “comunità internazionale” possono illudersi che ci sia un “processo di pace” e sostenere che Israele debba compiere “gesti di buona volontà” ed essere disponibile a “dolorosi sacrifici”, pur di sgomberare la strada a quella prospettiva di pace che si attribuisce ai “palestinisti”.
Ma qualche volta capita che essi raccontino quali sono i loro programmi effettivi, al di là della propaganda e allora la prospettiva cambia. Lo fece Arafat in un celebre discorso in arabo tenuto in Sud Africa dopo la firma degli accordi di Oslo, spiegando di ispirarsi a Maometto, quando, avendo meno uomini e armi dei suoi nemici, strinse una tregua con i politeisti che tenevano la Mecca, ma la ruppe appena si trovò in situazione migliore, conquistando la città. Lo fanno i libri di scuola e la televisione dell’Autorità Palestinese, che spesso indica i confini del futuro stato di Palestina comprendendo tutto il territorio che oggi è di Israele.
E l’ha fatto Hamas un paio di settimane fa, andando al di là del suo statuto che già prevede la distruzione di Israele e tenendo una conferenza programmatica sulle “Promesse del futuro”, in cui stabiliva i programmi per il tempo successivo alla prossima “vittoria” sull’ “Entità sionista”. Anche se viene da trattare questa cose come sogni o piuttosto incubi, bisogna invece considerare tali piani, perché rendono esplicite le intenzioni di Hamas, fanno capire quale sarebbero le conseguenze di una sconfitta. Ci sarà un nuovo stato pienamente islamico, dice Hamas, che erediterà tutto ciò che oggi appartiene a Israele e che, sostengono, è stato già completamente inventariato da loro: case, fabbriche, campi, paesi, infrastrutture. Tutta questa ricchezza sarà espropriata dal nuovo stato, che deciderà che cosa farne sulla base dei principi dell’Islam e stabilirà anche quali trattati internazionale conservare e quali annullare, a quali organizzazioni internazionali aderire e così via.
Per quanto riguarda la popolazione di Israele, come si legge nel documento finale, “nel trattare con i coloni ebrei in terra palestinese, ci deve essere una distinzione nell’atteggiamento a seconda delle categorie: i militari devono essere uccisi; un [ebreo] che fugge e può essere lasciato andare o essere perseguito per i suoi crimini; a un individuo pacifico che si arrende e può essere concessa una forma di integrazione o lasciato il tempo di andarsene. Questo è un problema che richiede una profonda riflessione e una dimostrazione dell’umanesimo che ha sempre caratterizzato l’Islam. Gli ebrei istruiti e gli esperti nei settori della medicina, dell’ingegneria, della tecnologia e dell’industria civile e militare dovrebbero però essere trattenuti [in Palestina] e non dovrebbero essere autorizzati a lasciare e portare con sé la conoscenza e l’esperienza che hanno acquisito vivendo in la nostra terra e godendo della sua generosità, mentre noi ne pagavamo il prezzo in umiliazioni, povertà, malattie, privazioni, uccisioni e arresti”.
Insomma lo scenario è quello di una strage generale, dato che la grande maggioranza dei cittadini ebrei di Israele fa il servizio militare, con l’eccezione di qualcuno cui sarà consentito scappare e del soggiorno obbligato (cioè la schiavitù) per tecnici, medici, ingegneri. Magari ci sarà spazio anche per la sottomissione di qualcuno, secondo i modelli tradizionali islamici dei “dhimmi”. Tutto ciò naturalmente non ha alcuna probabilità di realizzarsi, ma è il progetto di Hamas, il suo obiettivo politico. Coloro che pensano che si tratti di un “movimento di liberazione” o di un “partito popolare” con cui bisognerebbe parlare e che innanzitutto andrebbe “liberato dall’assedio israeliano”, farebbero bene a pensarci. Ma è assai improbabile che lo facciano.