In una casa bruciata nel kibbutz Be’eri, ora senza tetto, le squadre di archeologi israeliani stanno unendo gli sforzi per setacciare meticolosamente ceneri e macerie. A un mese dal massacro mortale di Hamas, gli archeologi stanno cercando resti umani, sperando di identificare le vittime ancora scomparse. Be’eri è una delle comunità più colpite dai terroristi, che hanno fatto irruzione al confine tra Israele e Gaza il 7 ottobre 2023, uccidendo circa 1.400 persone e rapendo più di 240 ostaggi. Auto dilaniate costeggiano ancora i sentieri del kibbutz, alcune case sono state sventrate dal fuoco, altre sono trafitte dai proiettili. Le biciclette dei bambini sono ancora sparse tra detriti, vetri frantumati e munizioni inesplose. Uno scenario apocalittico che mostra tutta la ferocia con la quale i terroristi di Hamas hanno colpito la popolazione del sud di Israele.
A Be’eri, come nei villaggi vicini Kfar Aza e Nir Oz, gli uomini armati hanno sparato alle famiglie che cercavano riparo nei rifugi e hanno dato fuoco alle loro case. I terroristi non hanno risparmiato nulla: hanno infatti appiccato il fuoco alle auto durante il Nova festival, un rave in cui sono morti 260 ragazzi che si erano ritrovati nel deserto con la sola intenzione di ballare e festeggiare. Le squadre di soccorso hanno trovato corpi bruciati in varie località, tuttavia molte persone risultano ancora scomparse. Per questa ragione, l’esercito israeliano ha chiamato due settimane fa gli archeologi dell’Autorità israeliana per le antichità (IAA) per assistere l’IDF nella delicata ricerca.
Finora l’Israel Antiquities Authority ha contribuito a identificare 10 vittime, circa 25 persone risultano ancora disperse. “Siamo andati nelle case bruciate – ha detto l’archeologo Joe Uziel – alla ricerca anche delle prove più piccole che potessero aiutarci a identificare le persone scomparse, siano essi oggetti personali come gioielli e simili, o resti di ossa che erano state fratturate dal calore”. Aiutati dai soldati, gli esperti hanno diviso le aree in zone di ricerca proprio come avrebbero fatto durante un regolare lavoro di scavo, iniziando a setacciare la zona. “Non è stato facile – ha detto Uziel – È una sensazione mista quella provata durante la ricerca: da una parte volevamo trovare qualcosa da una parte pregavamo di non trovare. Perché, se trovi qualcosa significa che hai accertato che qualcuno se n’è andato e, allo stesso tempo, non trovare nulla significa rimanere nel limbo del non sapere. Per quanto sia difficile, per noi è importante lavorare e portare un po’ di sostegno a tutte le famiglie che hanno già perso così tanto”.