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    DELEGAZIONI IRACHENE IN VISITA IN ISRAELE

    In un evento senza precedenti, tre delegazioni di leader locali
    iracheni, per un totale di 15 persone, sono venute in diverse occasioni in
    visita in Israele, dove hanno incontrato accademici, funzionari del governo e
    visitato il memoriale dell’Olocausto Yad Vashem. La notizia, rivelata
    dall’emittente israeliana Hadashot tv, è stata poi confermata all’agenzia
    stampa Dpa dal portavoce del ministero degli Esteri, Emmanuel Nachshon.
    “Lo consideriamo un passo positivo e una dimostrazione del fatto che
    possiamo e dobbiamo stabilire un buon dialogo con i nostri vicini nella regione
    e in particolare l’Iraq”, ha affermato Nachshon. Non si è trattato, ha
    sottolineato la tv, di esponenti provenienti dal Kurdistan iracheno, ma di
    sciiti e sunniti arrivati da Baghdad. La visita, descritta di natura
    “socio-culturale”, con l’obiettivo di “costruire
    l’infrastruttura per futuri legami”, è particolarmente notevole. L’Iraq è
    in stato di guerra con Israele fin dalla nascita dello stato ebraico e le sue
    forze hanno partecipato alle guerre contro Israele del 1967 e il 1973. Israele
    ha distrutto il reattore nucleare iracheno di Osiraq nel 1981 e nella prima
    guerra del Golfo il leader iracheno Saddam Hussein lanciò una quarantina di
    missili Scud contro le città israeliane. Il primo ministro israeliano Benyamin
    Netanyahu ha ripetutamente parlato di rapporti con i paesi arabi che si
    sviluppano dietro le quinte, anche in funzione anti iraniana.

    La notizia della visita delle delegazioni irachene ha però
    scatenato la rabbia del vice presidente del Parlamento iracheno, Hassan Karim
    al-Kaabi, che ha chiesto al ministero degli Esteri di Baghdad di svolgere
    indagini. In una nota, al-Kaabi ha annunciato che è stato ordinato alla
    commissione Esteri del Parlamento iracheno di “scoprire i nomi delle  autorità che hanno visitato la terra occupata
    (Israele, ndr), in particolare quelle del Parlamento”. “Recarsi nella
    terra occupata – ha aggiunto – è una linea rossa ed è una questione sensibile
    per i musulmani di tutto il mondo”.

     

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