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    Dagli Emirati al Libano. Per l’imprenditore israeliano Erel Margalit è il business la via per la pace

    “Sono convinto che, molto presto, il Libano farà parte di questo progetto. La chiamiamo “open fence strategy”, la strategia dei recinti aperti”. Dalla città più settentrionale di Israele, Kiryat Shmona, dove giovedì 1° settembre si è inaugurato il Margalit Startup City Galilee, nuovo hub tecnologico tutto dedicato al foodtech, l’israeliano Erel Margalit, fondatore e presidente della società di venture capital JVP, ha lanciato un appello al popolo libanese. “La terra su entrambi i lati del confine è fertile. Respiriamo la stessa aria. Desidero e attendo con ansia il giorno in cui l’innovazione, la ricerca e la creatività saranno condivise dai due popoli”. “Le nostre porte sono aperte – ha continuato il teorizzatole della “Startup Region” in Medio Oriente – e le nostre braccia tese. Non c’è speranza nella guerra. Un conflitto non porta vantaggi per nessuno. L’innovazione, invece, può cambiare una città e può cambiare un paese. E può anche essere un ponte per l’intera regione”.

     

    E’ uno degli uomini d’affari più influenti in Israele. Con la Jerusalem Venture Partners, società internazionale fondata nel 1993, Erel Margalit ha investito in oltre 150 società. Era il 2004 quando Forbes l’ha annoverato – primo israeliano – tra i cinquanta migliori imprenditori al mondo per la capacità di creare ricchezza per i propri investitori e l’ha definito il più importante venture capitalist non americano. Dopo aver coltivato l’ecosistema high-tech a Gerusalemme, ha istituito centri di innovazione in altre regioni di Israele, tra cui un Cyber ​​Center a Be’er Sheva e un Digital Health Center ad Haifa, a cui si è aggiunto il Foodtech Center in Galilea. E un International Cyber ​​Center a New York.

    Margalit è stato uno dei primi uomini d’affari a guidare una delegazione ufficiale di business a Dubai, dopo la firma degli Accordi di Abramo, un anno fa. Ed è stato il primo israeliano ospite della TV pubblica emiratina.

     

    La sua intenzione è perseguire con il Libano lo stesso obiettivo di normalizzazione delle relazioni che ha avuto successo con i paesi nel Golfo Persico, Emirati Arabi in primis. 

    Tra Gerusalemme e Abu Dhabi, tuttavia, non c’era il trascorso di guerre che ha segnato l’incomunicabilità tra Israele e Libano. E non c’era la longa manus dell’Iran e dei suoi proxy Hezbollah. Questa volta, la sfida lanciata da Margalit è decisamente più azzardata. 

     

    “Prima dei politici – ha continuato – ci sono le piccole attività, gli agricoltori, i commercianti, i produttori. La gente inizia a guadagnare per vivere, lavorando insieme su progetti semplici. Io credo negli inizi a piccoli passi”. Dietro le quinte, lascia intendere Margalit, gli uomini d’affari sono già al lavoro per creare dei varchi in un confine attualmente invalicabile.

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