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    ISRAELE

    Ci si può fidare di Marwan Barghouti?

    Le fantasie del “giorno dopo” la fine della guerra

    Chi nella politica internazionale, sui media o nella diplomazia lavora per impedire una completa vittoria di Israele nella guerra di Gaza, o almeno per controbilanciarla con un successo palestinese, cerca di bloccarne l’offensiva militare, salvaguardando i capi e le forze di Hamas nascoste a Rafah. O anche si immagina che quel che conta sia “il giorno dopo” aver vinto Hamas, Israele dovrebbe accettare uno “stato palestinese”. Solo in questa maniera, dicono, ci sarebbero i frutti della pace, fra cui l’estensione degli “accordi di Abramo” all’Arabia Saudita. Ciò non è vero, come Israele spesso ha spiegato; e inoltre sarebbe uno sviluppo pericolosissimo, la premessa sicura di altri attacchi terroristici di massa e di altre guerre. Nonostante ciò si continua a parlare di uno “stato palestinese” cui si vorrebbe addirittura affidare la gestione e la ricostruzione di Gaza dopo la fine della guerra.

    Lo “stato Palestinese” e la realtà

    C’è un ostacolo in più: esiste già un’entità che pretende di essere “stato di Palestina” e come tale parla per esempio all’Onu. Non è per fortuna di fatto uno stato vero, perché non controlla il “suo” territorio; ma ha relazioni intense con Onu, Usa, Unione Europea: è l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Peccato però che si tratti di una dittatura che ha tenuto le sue uniche elezioni presidenziali 19 anni fa (per un mandato di 4 anni) e quelle parlamentari 18 anni fa (ma l’assemblea non si è più riunita dal 2007). Inoltre l’ANP manca di libertà di stampa e di riunione, è notoriamente una delle organizzazioni più corrotte del mondo arabo (il che è tutto dire), favorisce il terrorismo in molti modi, innanzitutto pagando i terroristi morti in azione o arrestati con stipendi e pensioni. Infine è governata da un dittatore (Mahmud Abbas) che a marzo compie 89 anni, è piuttosto malato ed è evidentemente incapace di controllarne il territorio e gli uomini.

    Una Autorità “rivivificata”

    La soluzione escogitata per superare questi ostacoli è la seguente: lo stato di Palestina sarà sì l’ANP, ma “riformata” o addirittura “rivivificata”. Così sostiene l’amministrazione Biden, per esempio. Ma come potrebbe avvenire questa resurrezione di un corpo politico evidentemente marcio e corrotto? A parte la difficoltà di rimuovere il vecchio dittatore e la sua corte, se si facessero oggi le elezioni nei territori dell’ANP, i sondaggi dicono che le vincerebbe facilmente Hamas – tanto per chiarire quanto il “popolo palestinese” sia innocente e desideroso di pace. E allora come fare? L’idea è quella che il “rinnovamento” potrebbe consistere nella sostituzione di Abbas con Marwan Barghouti, un terrorista detenuto nelle carceri israeliane per omicidi plurimi, che però in Occidente si è costruito la fama di “Mandela palestinese”, ottenendo numerosi riconoscimenti. Ora a parte che Mandela non è mai stato accusato di omicidi mentre Barghouti è in carcere proprio per questo, Mandela è diventato famoso e apprezzato per aver intrapreso un percorso di pace coi suoi nemici, mentre Barghouti non l’ha mai fatto, anzi.

    Chi è Barghouti

    Nato nel 1959, Marwan Barghouti si è unito nel 1974 a Al Fatah, collaborando ai suoi attentati contro i civili in Israele. Nel 1976 fu condannato per questa partecipazione al terrorismo. Nel 1987 fu arrestato di nuovo ed espulso in Giordania. Nel 1994, in seguito agli accordi di Oslo. Alla fine degli anni ’90, Barghouti divenne il capo dei Tanzim, l’organizzazione paramilitare che sotto la maschera della sicurezza interna guidava la campagna terroristica di Fatah contro Israele Fu inoltre il fondatore delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, altra organizzazione terroristica affiliata a Fatah e ancora esistente, che ha partecipato al 7 ottobre. Tra il 2000 e il 2002, Barghouti guidò Fatah in Cisgiordania, e in particolare i Tanzim e le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa organizzando gran parte dell’attività terroristica in quel periodo.

    Un’immagine mitica che non corrisponde alla realtà

    Nel 2002, Barghouti fu arrestato e condannato dalla corte distrettuale di Tel Aviv a cinque ergastoli consecutivi per il suo ruolo nella morte di altrettante vittime del terrorismo. Nel suo verdetto, la corte stabilì che Barghouti era stato moralmente responsabile di molti altri attacchi per il suo incoraggiamento al terrorismo e un attore chiave nell’acquisizione di finanziamenti per i terroristi. In carcere Barghouti ha cercato di accreditarsi come leader palestinese alla ricerca della pace, l’unico in grado di unificare le fazioni palestinesi e raggiungere realisticamente un accordo sullo status finale con Israele. Tuttavia, questo mito non corrisponde alla realtà. Barghouti non ha mai rinunciato alla lotta armata. Nel 2014, per esempio, ha rilasciato due dichiarazioni pubbliche, rivendicando il diritto dei palestinesi alla “resistenza in tutte le sue forme” e sostenendo contro la calma voluta da Abbas che bisognasse riprendere la “resistenza”. Ancora due mesi fa, in piena guerra, Barghouti, che non ha mai condannato il 7 ottobre, invitava i palestinesi in Cisgiordania a unirsi alla “resistenza” e chiedeva specificamente ai membri dei servizi di sicurezza palestinesi a rivolgere le armi contro Israele. Insomma, certamente Barghouti non è Mandela, ma soprattutto non è un personaggio a cui Israele possa dare fiducia per la propria sicurezza.

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