
Zamir al posto di Halevi
Dopo quasi un anno e mezzo di guerra, approfittando della tregua in corso e che forse sta per finire, le forze armate israeliane e i servizi di informazione stanno cambiando i quadri dirigenti più importanti, i loro uomini-immagine e anche probabilmente l’approccio strategico, per prendere atto non solo dei tragici errori commessi prima e durante l’attacco del 7 ottobre, ma pure dal corso della guerra, che è stato ricco di risultati ma anche per certi versi incompleto e difficoltoso. Il cambiamento più importante è stato la sostituzione del capo di stato maggiore Herzi Halevi, che comandava le forze israeliane dal gennaio 2023 e si è dimesso a gennaio. È stato rimpiazzato il 5 marzo da Eyal Zamir. Zamir era stato già nella lista dei tre possibili candidati per questo ruolo in concorrenza con Halevi anche nel turno precedente, quando era stato scelto Gadi Eisenkot, di cui era stato poi il vice. Non si tratta dunque di una nomina che rivoluziona lo stato maggiore, anche se alcuni hanno letto la sua nomina come la sostituzione di un ufficiale dei paracadutisti (com’era Halevi) o di un uomo dei reparti speciali della brigata Golani (Eisenkot) con un carrista come Eyal Zamir, e quindi con uno sguardo più attento agli schieramenti terrestri e all’occupazione del territorio. Certamente Zamir nei momenti del 7 ottobre prestava servizio come direttore generale del Ministero della Difesa, con compiti logistici e di organizzazione delle armi e non porta responsabilità per quel che è accaduto. Gli si attribuisce inoltre un approccio più aggressivo di quello di Halevi e una maggiore vicinanza al primo ministro Netanyahu, di cui era stato segretario militare fra il 2012 e il 2015.
La “conceptzia”
Solo il tempo potrà dire se Eyal Zamir sarà capace di determinare quel mutamento di mentalità nello Stato Maggiore che molti in Israele ritengono necessario: l’abbandono dell’illusione che la prevalenza tecnologica possa risolvere tutti i problemi e soprattutto dell’idea che i movimenti terroristici palestinesi siano interessati al benessere della popolazione che amministrano e dunque possano essere ridotti alla calma con un misto di esibizioni di forza e di concessioni economiche, come si è tentato di fare a Gaza (ma anche in Giudea e Samaria) negli ultimi vent’anni prima del 7 ottobre. Questa è quella che nel gergo politico israeliano viene chiamata “conceptzia”, cioè il pregiudizio che ha impedito ai vertici militari e politici di vedere il pericolo in arrivo, anche al di là degli errori dei vertici dei servizi di sicurezza.
I cambiamenti nei comandi principali
Il nuovo capo di stato maggiore sta comunque agendo molto velocemente per cambiare il vertice delle Forze armate. Sono in via di sostituzione il dimissionario capo del Comando Meridionale, Yaron Finkelman con Yaniv Asor, anche lui estraneo agli eventi del 7 ottobre. Sarà sostituito anche Uri Gordin, capo del Comando Settentrionale ma non dimissionario, anzi in genere considerato fra coloro che hanno lavorato meglio nella guerra e forse destinato a diventare il vice di Zamir. Non si sa ancora chi prenderà il suo posto. Cambia anche il capo della Direzione delle operazioni, Oded Basiuk, pure lui dimissionario per il ruolo tenuto nel ritardo della risposta all’attacco di Hamas. Al suo posto andrà Itzik Cohen, che comandava la Divisione 162, che ha sostenuto la parte più pesante dei combattimenti a Gaza nello scorso anno e mezzo. Ha annunciato la dimissione dal ruolo e l’uscita dalle forze armate l’ammiraglio Daniel Hagari, un volto diventato popolare come responsabile delle informazioni dell’esercito per la stampa internazionale, che durante quest’anno ha svolto un lavoro convincente e documentato, ma in un paio di occasioni, per sua stessa ammissione, è uscito dai limiti del suo compito e anche dal ruolo costituzionale delle forze armate prendendo posizioni politiche sulle trattative con Hamas in polemica col governo. A quanto pare Hagari sarà sostituito da un altro carrista.
I servizi
È destinato infine a essere sostituito il responsabile del servizio di informazione militare (Aman), Aharon Haliva, che aveva annunciato le proprie dimissioni alcuni mesi fa. Dalle inchieste compiute autonomamente dai vari corpi militari sul 7 ottobre che sono state ampliamente commentate sui giornali israeliani risulta che le responsabilità prossime della risposta inadeguata all’attacco terroristico vanno divise fra chi aveva il compito della vigilanza del confine di Gaza e non l’ha fatto adeguatamente e i responsabili dei servizi di informazione, che non hanno utilizzato adeguatamente gli indizi di cui disponevano e gli allarmi veri e propri che arrivavano dai subordinati. In Israele i servizi principali sono tre: quello per le operazioni all’estero (il Mossad, che non ha competenza su Gaza e in questa guerra ha agito in maniera efficacissima, riuscendo a eliminare la minaccia più preoccupante, quella di Hezbollah e anche a neutralizzare all’estero diversi capi terroristi), quello militare (Aman), che conta soprattutto su mezzi tecnologici, e quello civile, competente per il territorio dello stato e le zone dell’Autorità Palestinese (lo Shin Bet, che nella stampa internazionale è chiamato spesso ASI). La responsabilità più pesante è probabilmente di quest’ultimo organismo, che non ha raccolto i segnali d’allarme che gli arrivavano e anche durante la guerra è riuscito solo in parte a penetrare i segreti di Hamas. Il capo dello Shin Bet rifiuta però di dimettersi, o meglio ha annunciato le sue dimissioni ma, in maniera molto irrituale, le ha pubblicamente condizionate alla possibilità di indicare il successore e comunque ha fatto sapere che intende darle solo dopo che sarà costituita una commissione d’inchiesta di Stato, sfidando il licenziamento chiesto da alcuni nel governo.
L’inchiesta che verrà e la ripresa della guerra
La democrazia israeliana ha sempre reagito alle difficoltà militari cercando di chiarire pubblicamente con commissioni indipendenti gli errori e le insufficienze, cambiando i responsabili e cercando di imparare dai problemi incontrati. È accaduto così dopo le due guerre del Libano e anche dopo quella del Kippur, con inchieste che a tempo debito hanno investito i quadri militari e anche il governo. Senza dubbio accadrà così anche questa volta alla fine della guerra. I cambiamenti in corso non vanno certamente intesi come un sostituto dell’inchiesta, ma come premessa di un cambio di passo e di un’intensificazione strategica se e quando (forse presto) riprenderà la guerra a Gaza, o si accenderà in Siria, o arriverà alla testa della piovra terroristica, cioè all’Iran e al suo armamento nucleare.