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Il lutto
Dal terribile pogrom, dai 5000 missili sulle città, dai 1200 morti, dai 250 rapimenti, dagli stupri, dagli incendi, dalla violazione dei cadaveri, dall’esibizione delle rapite come trofei, sono passati oggi 500 giorni. Un anno, quattro mesi e dieci giorni. Da allora sono morti centinaia di soldati, la vita delle comunità intorno a Gaza e al nord sono state sconvolte con decine di migliaia di sfollati, le città israeliane sono state bersaglio di quasi 30.000 missili, che hanno provocato molti morti civili nonostante le difese antimissile e i rifugi. Ricordiamo, un anno fa, la strage dei 14 ragazzini drusi che giocavano a pallone nel loro villaggio, ammazzati da un razzo di Hezbollah. E sì, ricordiamo anche la distruzione di Gaza e di villaggi e quartieri del Libano, che ha colpito non solo i quadri e le truppe terroristiche che erano bersagli giusti e necessari, ma anche necessariamente molti civili dietro cui essi si nascondevano, fossero costoro o meno “innocenti”, dato che la complicità della popolazione di Gaza con i terroristi purtroppo è stata grande e ancora lo è. Li ricordiamo con lutto, perché come disse una volta Golda Meir “O arabi, noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri”.
La colpa
Questa guerra non era necessaria, Israele non l’ha voluta e neppure prevista. Stanno uscendo i risultati delle inchieste sulle responsabilità interne per non aver saputo impedire la strage ed è chiarissimo che i servizi di sicurezza e l’esercito non pensavano assolutamente che un attacco del genere fosse possibile, credevano che Hamas fosse spaventato dalla potenza israeliana, non presero provvedimenti né informarono il governo sui segnali d’allarme che arrivavano loro; dal canto loro tutti i governi israeliani degli ultimi vent’anni avevano sviluppato politiche per cercare di addomesticare il terrorismo di Gaza, permettendo che arrivassero alla Striscia gli aiuti economici del Qatar, consentendo alla mano d’opera locale di venire a lavorare in Israele con i relativi benefici economici, assicurando rifornimenti spesso poi usati per scopi militari, evitando di reagire ai bombardamenti e ai rapimenti organizzati da Hamas con tutta la forza necessaria per assicurarne la distruzione. Io ricordo personalmente di aver sentito qualche anno fa un ufficiale superiore del COGAT (il servizio dell’esercito dedicata ai rapporti civili coi palestinesi) rispondere a una domanda dicendo che non era nell’interesse di Israele distruggere Hamas a Gaza, perché l’anarchia sarebbe stata peggiore. Il giorno prima della guerra tutto era tranquillo, non c’era un israeliano a Gaza, non vi erano particolari tensioni. L’attacco è stato portato a freddo e a tradimento, dopo una preparazione segreta di anni. La decisione è stata probabilmente presa a Teheran dal regime degli ayatollah, sulla base del suo programma imperialistico per cui la distruzione di Israele non è solo un obiettivo ideologico-religioso, ma anche uno strumento per giustificare l’egemonia iraniana sul Medio Oriente. Israele lavorava per la pace. Aveva trattati con Egitto e Giordania. Grazie alla prima amministrazione Trump, aveva concluso gli “accordi di Abramo” con gli Emirati, il Bahrein, il Marocco (accordi che hanno tenuto durante questo terribile periodo). Stava negoziando con l’Arabia Saudita per estenderli. Proprio questa possibilità di pace e il progetto di una pacifica via commerciale dall’Oriente all’Europa attraverso Arabia Giordania e Israele era l’obiettivo immediato dell’attacco terroristico su sette fronti deciso dall’Iran, esteso da Gaza al Libano, dalla Siria all’Iraq, da Giudea e Samaria allo Yemen.
Israele sta vincendo
Come era successo altre volte, per esempio durante la Guerra del Kippur, Israele ha reagito bene ed è riuscito a prevalere sul terreno. Non bisogna farsi ingannare dalle grottesche esibizioni di forza di Hamas nei teatrini allestisti per la consegna dei rapiti. La sua potenza militare è distrutta. Lo stesso si può dire di Hezbollah. La Siria ha cambiato regime, interrompendo le vie di rifornimento di Hezbollah. Anche le difese aeree dell’Iran sono state annullate, lasciandolo esposto all’aviazione israeliana. Il tentativo di innescare il terrorismo sul territorio israeliano ha generato solo alcuni crimini odiosi e il contagio in Giudea e Samaria è stato bloccato da vigorose operazioni militari. Il problema è ora concludere il lavoro e vincere la pace. Anche l’atteggiamento anti-israeliano (in fondo perché antisemita) delle istituzioni internazionali, della maggior parte dei governi europei e delle sinistre di tutto il mondo oggi è bilanciato soprattutto dalla nuova amministrazione americana, ma anche dall’ondata di rifiuto per l’islamismo che si estende in tutto l’Occidente.
I compiti futuri
Il punto fondamentale è neutralizzare l’armamento nucleare iraniano, ottenendo un nuovo trattato che lo impedisca, come sembra voglia Trump, o più probabilmente bombardandone le installazioni e provocando un cambio di regime che porti alla democrazia, secondo il progetto di Netanyahu. Bisogna contemporaneamente terminare l’eliminazione dei terroristi da Gaza, dal Libano, da Giudea e Samaria. Bisogna impedire che si travestano da civili per incistarsi di nuovo in questi territori. Bisogna guardare con attenzione alle minacce turche e anche a quelle egiziane che si profilano. Per questo è essenziale il rapporto con Trump e la prosecuzione del governo israeliano, che negli ultimi mesi ha aumentato compattezza ed efficacia. Hamas ha oggi nei rapiti un’arma terribile, che usa come assicurazione sulla vita e come minaccia contro Israele, cercando di usare le umane, comprensibili, giustificatissime esigenze delle famiglie. Questo è il problema più difficile e urgente di Israele: riuscire a ottenere la libertà dei rapiti e insieme concludere la guerra distruggendo Hamas. La proposta di Trump di svuotare la Striscia per ricostruirla risponde in maniera fantasiosa a questo terribile problema. Il tempo dirà se questa intuizione o un’altra strategia riuscirà ad assicurare lo stesso diritto alla vita per i rapiti e per gli altri cittadini di Israele che Hamas (e Hezbollah, gli Houti e in definitiva l’Iran) continuano a minacciare con nuovi 7 ottobre.