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    PESACH AI TEMPI DEL CONTAGIO

    La Shoah ebbe inizio nell’anno 5700, il 1939-1940 del calendario civile dell’era che si definisce cristiana, il calendario del business ormai prevalente in tutte le culture e gli stati del mondo. Sono trascorsi otto decenni. Non occorrono gli archivi bloccati anch’essi dalla pandemia del coronavirus per conseguire la certezza che alla malvagità umana ci si potrebbe opporre comunque, purché si voglia pagare il prezzo necessario e non si resti immobilizzati dalle banalità comode del potrebbe andare peggio. Certamente. Sono però le considerazioni eterne e indiscutibili di don Abbondio. 

    Non era mai accaduto, nel corso della storia due volte e mezzo millenaria della diaspora, che tutti gli ebrei del mondo, e per giunta nella più completa e perfetta consapevolezza, dovessero celebrare i Sedarim senza la possibilità di riunire le famiglie ciascuno nelle abitazioni. Basta che se ne possieda una, perché ci sono migliaia di homeless anche nelle città di Israele. Ed è anche questo un segno da non trascurare, di fronte all’ingiustizia che prevale ovunque. 

    Neppure durante le vicende più terribili della Seconda guerra mondiale, quando sembrava ormai inevitabile che il nuovo ordine nazionalsocialista avrebbe dominato l’Europa dall’Atlantico agli Urali, si videro interdetti in totale contemporaneità i riti della pasqua ebraica. 

    La prima sera di Pesach 5703 ebbe inizio la rivolta del ghetto di Varsavia. La ricordiamo ogni anno con il Rituale della Rimembranza. Tuttavia gli ebrei di New York o di Buenos Aires, di Londra come di Istanbul, e perfino gli ebrei di Stoccolma a poche centinaia di chilometri dalle coste della Polonia occupata, potevano leggere liberamente l’Aggadà di Pesach e sperare che presto si sarebbe tornati a essere bené chorin, figli della libertà. 

    La sera del 14 di nissan 5780 (mercoledì 8 aprile 2020) si uscirà dall’Egitto in solitudine, le famiglie ristrette al proprio nucleo più intimo e moltissimi in stato di vero isolamento personale. Insegna la tradizione ebraica che ognuno deve considerarsi liberato individualmente dalla schiavitù in Erez Mizraim. E questo vale fino alla fine del tempo del genere umano su questo pianeta. Individualmente, ma collettivamente. Non sarà così in questo 5780. E’ un messaggio potente. Davvero non può essere decifrato da ciascuno se non con la propria sensibilità personale, e dunque opportunamente destinata alla riservatezza più assoluta. In molte città del mondo gli ebrei tendono a fare gruppo in certi quartieri e anche in singoli edifici. Ci saranno alcuni che vorranno in qualche modo ricongiungere la famiglia. A proprio rischio e pericolo, e nonostante precise proibizioni e prescrizioni rabbiniche. Si deve purtroppo considerarlo un segno di assimilazione, ovvero diventare uguali a tutti gli altri della maggioranza adeguandosi però al peggio. Il peggio di un paese che vede certi politici parlare di fase 3, termine con il quale si intende il ritorno a un prima che non esiste più, un tempo perduto che non tornerà. Il faraone voleva convincere Mosè che la perdita degli schiavi avrebbe condannato l’Egitto alla rovina. Poi si arrese alle piaghe.

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