In questa parashà leggiamo che al suo ritorno da Charàn, Ya’akòv venne a sapere che il fratello Esaù, che ventidue anni prima aveva affermato che l’avrebbe ucciso per avergli portato via la benedizione paterna, stava venendo incontro a lui con quattrocento uomini armati. Un vero esercito per quei tempi.
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) nel suo commento a questa parashà (Bereshìt, 33:15) cita un midràsh(Bereshìt Rabbà, 78:18) nel quale è raccontato che Rabbi Yannai quando doveva andare a Roma, ristudiava la parashàdi Vayshlàkh, e i romani lo lasciavano in pace. Una volta trascurò di rivedere la parashà e i romani iniziarono a importunarlo.
Israel Beslky (New York, 1938-2016) in Einei Yisroel (p. 240) commenta che R. Yannai vide nel comportamento di Ya’akòv nei confronti del fratello Esaù il modello dei futuri rapporti tra il popolo ebraico e i gentili. Ya’akòv cercò di “accecare” Esaù con regali di greggi e mandrie ben distanziati tra di loro per fare un maggiore impatto. Questa tattica funzionò e con ogni gruppo di animali che riceveva in regalo, il cuore di Esaù si riscaldava. Quando si incontrarono, Esaù si commosse e abbracciò Ya’akòv di tutto cuore (Rashì, Bereshìt, 33:4). Ya’akòv si era preparato anche alla guerra. Ma con questi regali riuscì ad evitarla.
Vi è un altro midràsh che appare critico del comportamento di Ya’akòv. In questo midràsh (Bereshìt Rabbà, 75:3), è raccontato che al suo ritorno da Charàn, Ya’akòv non avrebbe dovuto inviare dei messaggeri a Esaù per annunciare il suo ritorno. Il midràsh afferma che “Chi afferra le orecchie di un cane si immischia negli affari altrui”. In altre parole, “Non svegliare il can che dorme”. Questo midràsh, afferma r. Belsky, apparentemente è in contraddizione con il comportamento di Ya’akòv.
In verità Ya’akòv in questo frangente non aveva scelta perché non è possibile pensare che Esaù non sarebbe venuto a sapere del ritorno di Ya’akòv. Notificando Esaù del suo ritorno, Ya’akòv fu in grado di prendere l’iniziativa e di programmare il modo migliore per rappacificarsi con lui. Il midràsh che racconta di rabbi Yannai conferma il fatto che il comportamento di Ya’akòv è un modello per le generazioni future.
Con tuto ciò l’affermazione del midràsh che non bisogna “Svegliare il can che dorme”, ovvero provocare i gentili, è ugualmente vera e vale ugualmente per tutti i tempi e per tutti i luoghi.
Yosef Eliyahu Henkin (Belarus, 1881-1973, New York) arrivò in America nel 1922 e per molti anni fu la principale autorità halakhica a New York. In uno dei suoi scritti (anno 1942) sulle questioni attuali (Lev Ivrà, Sheelòt Hazmàn, p. 96 e p. 98), egli critica aspramente le proteste pubbliche delle organizzazioni ebraiche americane contro il regime nazista. Egli affermò che non bisognava provocare i malvagi e che in casi del genere il modo appropriato per trattare queste questioni era di farlo diplomaticamente, senza fare chiasso. Una persona capace avrebbe potuto ottenere molto di più di tutte delle proteste pubbliche. Egli affermò che le proteste pubbliche non servirono ad aprire le porte dell’America, dell’Inghilterra e di Eretz Israel durante il mandato Britannico. Al contrario, servirono a fomentare l’opposizione degli arabi.
[Una giustificazione, almeno parziale, di questa posizione la vediamo dal fatto che lo ”Hamàn italiano” (il suo nome e la sua memoria vengano cancellati), quando il 18 settembre 1938 a Trieste annunciò e giustificò l’istituzione delle leggi razziali contro gli ebrei, disse: “L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo”].
L’importanza di trattare con rispetto i governanti e i politici di qualunque partito, la impariamo anche da Moshè che disse al Faraone: “E tutti questi tuoi servitori scenderanno da me, e s’inchineranno davanti a me, dicendo: Parti, tu e tutto il popolo ch’è al tuo seguito!” (Shemòt, 11:8).
Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega: “Diede onore al Re, perché alla fine fu il Faraone a venire a cercare Moshè”.