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    Parashà di Sheminì: Fiaschi nuovi ma senza buon vino

    In questa parashà, la Torà descrive cosa avvenne nell’ottavo giorno dopo i sette giorni dell’inaugurazione del Mishkàn e dell’investitura dei kohanìm.  Era anche il capo mese di Nissàn ed era destinato ad essere un giorno di celebrazione e di festa. Fu invece un giorno di lutto per tutto il popolo. Dopo che Aharon e i suoi figli ebbero eseguito gli ordini dell’Eterno trasmessi loro da Moshè, “Un fuoco divino fece ardere l’olocausto e le parti grasse che si trovavano sul mizbèach; tutto il popolo, ciò veduto, alzò un grido e si prostrò” (Vaykrà, 9:24). 

    Quello che segue fu una tragedia: “Nadàv ed Avihù, figli di Aharon, presero ciascheduno una paletta, e vi misero fuoco, e vi posero sopra del profumo; presentando così innanzi all’Eterno un fuoco estraneo, che Egli non aveva loro comandato. Ed uscì un fuoco d’innanzi all’Eterno, che consumò loro, e morirono innanzi all’Eterno” (ibid., 10:1-2). 

    La Torà racconta che Nadàv e Avihù, i due figli maggiori di Aharon, furono puniti per aver fatto qualcosa di non autorizzato. 

                R. Ya’akov ben Asher (m. 1340, Toledo) nel suo commento alla Torà elenca sei motivi che fecero sì che Nadàv e Avihù prendessero quella iniziativa. Egli scrive che la parola “otàm” (loro) nella Torà è scritta con una lettera “vav” che non era necessaria. La presenza di questa lettera che ha il valore numerico di sei (6), offre l’opportunità a R. Ya’akov di dare al testo una spiegazione allegorica. 

                I Maestri ci hanno insegnato che vi sono quattro metodi di interpretazione della Torà: peshàt (letterale), rèmez (allegorico) deràsh (morale) e sod (generalmente inteso come kabbalà). Di questo ne parla anche Dante all’inizio del primo capitolo del secondo trattato del Convivio dove scrive: “… le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L’uno si chiama litterale […]. L’altro si chiama allegorico […]. Lo terzo senso si chiama morale […]. Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso”. 

                Rashi (Troyes, 1040-1105) è noto per l’uso che fa nel suo commento dello peshàt e del deràsh.  Rashbam (Troyes, 1085-1158), nipote Rashì, è noto per aver dedicato tutto il suo commento allo peshàt. R. Menachem Recanati (m. 1290) è noto per la spiegazione della Torà basata sul sod. R. Ya’akov nel suo commento alla Torà usa il più delle volte il metodo allegorico. 

                Basandosi su questo metodo, r. Ya’akov scrive che Nadàv e Avihù commisero sei trasgressioni: portarono nel mishkàn un fuoco estraneo; ebbero la sfrontatezza di prendere una decisione halakhica alla presenza del loro maestro Moshè; erano inebriati; non avevano figli; pensarono che loro due sarebbero diventati i leader del popolo; non consultarono Moshè. 

                R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) si sofferma sul motivo che Nadàv e Avihù pensarono che sarebbero diventati i leader del popolo sostituendo Moshè e Aharon. Essi dissero: “Quando moriranno questi due anziani saremo noi il leader della comunità”. Essi intendevano dire che Moshè e Aharon erano troppo vecchi e inadatti alla leadership della loro generazione. R. Pacifici commenta che è vero che ogni generazione necessità di leader adatti, ma ci vuole un grande aiuto dal Cielo per il passaggio del comando. Ci vogliono sì leader nuovi e più giovani, ma devono anche avere la saggezza degli anziani. Così infatti è insegnato nei Pirkè Avòt (Massime dei padri, 4: 27): “Ribbì diceva: non guardare al fiasco ma al suo contenuto: ci può essere un fiasco nuovo pieno di vino vecchio ed uno vecchio che è privo anche di vino nuovo” (trad. di Joseph Colombo). Nadàv e Avihù erano fiaschi nuovi ma senza buon vino! 

                

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