L’autore catalano del Sèfer Ha-Chinùkh (XIII sec. E.V.) scrive che la prima mitzvà di questa parashà è quella di distruggere tutti i luoghi usati dai cananei per i loro culti idolatri e fare sì che anche la loro memoria venga cancellata: “Distruggerete tutti quei luoghi dove le nazioni che conquisterete prestavano culto ai loro dei; sugli alti monti e sopra le colline, o sotto ogni albero frondoso. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, brucerete i loro alberi sacri e farete a pezzi le immagini dei loro dei; e farete sparire il loro nome da quei luoghi. Non farete poi così all’Eterno vostro Dio. Ma (voi vi recherete) unicamente a quel luogo, che l’Eterno vostro Dio sceglierà fra tutte le vostre tribù, per collocarvi il suo Santuario; là nella Sua residenza Lo ricercherete là andrete” (Devarìm, 12:2-5).
Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che la parole “Non farete poi così all’Eterno vostro Dio” vogliono insegnare che non sarà permesso portare sacrifici in qualunque luogo come facevano gli idolatri, ma solo nel luogo che verrà scelto dall’Eterno.
Questo è apparentemente il motivo per cui il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nella sua grande opera Mishnè Torà, nell’ottavo libro (‘Avodà), denominò le halakhòt riguardanti il Santuario con il titoloHilkhòt Bet Ha-Bechirà, Regole della Casa Prescelta.
R. Shimshon Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) sulla falsariga di Rashì, nel suo commento alla Torà specifica che la scelta del luogo dove verrà eretto il Santuario, non verrà fatta seguendo l’uso delle nazioni e non determinato dalla nostra preferenza soggettiva. Sarà l’Eterno che ci indicherà il luogo prescelto.
E infatti il luogo dove costruire il Bet Ha-Mikdàsh fu indicato a re Davide dal navì (il profeta) Gad: “Quel giorno Gad venne da Davide e gli disse: Sali, innalza un altare all’Eterno nell’aia di Araunà il Gebuseo” (2, Shemuel, 24:18). Davide acquistò il terreno pagandolo seicento sicli, cinquanta per ognuna delle dodici tribù, come scritto in Divrè Ha-Yamìm (1, Cronache, 21:25). Poi preparò i piani architettonici e i materiali per la costruzione, ma fu il figlio, re Salomone, che costruì il Bet Ha-Mikdàsh.
Nella Guida dei Perplessi (cap. 45), il Maimonide spiega per quale motivo la Torà non ha specificato quale sarebbe stato il luogo dove gli israeliti avrebbero dovuto erigere il Bet Ha-Mikdàsh. Egli afferma che vi sono tre motivi: il primo è per evitare che le nazioni si impossessassero di quel luogo e combattessero con grande violenza sapendo che quello è il luogo in questo mondo designato dalla Torà. Il secondo, per evitare che coloro che avrebbero avuto controllo di quel luogo lo distruggessero con tutti i loro mezzi. Il terzo e il più importante motivo, per evitare che ogni tribù [d’Israele] esigesse quel territorio come proprio e cercasse di conquistarlo, cosa che avrebbe causato discordia.
Nel trattato Talmudico di Zevachìm (118b) è raccontato che il Mishkàn, il tabernacolo mobile costruito nel secondo anno dall’uscita dall’Egitto, dopo trentanove anni nel deserto fu locato per quattordici anni al Ghilgàl, il luogo dove Yehoshua’ si accampò dopo aver attraversato il fiume Giordano. Poi fu trasferito a Shilò nel territorio della tribù di Efràim e resto là per 369 anni. Quando Shilò venne distrutta durante la guerra con i filistei, il Mishkàn venne locato, per complessivi 57 anni, prima a Nov e poi a Ghiv’on, entrambe le città nel territorio della tribù di Binyamin. Sommando questi anni viene così confermato che il Bet Ha-Mikdàsh fu costruito 480 dopo l’uscita dall’Egitto, come scritto nel libro di Melakhìm (1, Re, 6:1).