Skip to main content

Ultimo numero Luglio- Agosto 2024

Luglio-Agosto 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Pinechàs: Chi entrò vivo in Paradiso?

    In questa parashà è descritto il censimento degli israeliti dopo la morte di 24mila uomini che avevano “fraternizzato” con le moabite. Vengono contati tutti gli uomini dai venti anni in su, cioè quelli abili per il servizio militare, tribù per tribù, iniziando con la tribù di Reuven che era il primogenito di Ya’akov. Vi è un’eccezione quando viene contata la tribù di Ashèr dove è inserito un versetto nel quale è scritto: “E il nome della figlia di Ashèr era Sèrach” (Bemidbàr, 26:46).
    Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che Sèrach viene qui citata perché era ancora viva all’età di oltre duecento anni. Che Sèrach fosse una personalità straordinaria, lo dice il trattato Dèrekh Eretz Zutà (fine del primo capitolo) dove vengono elencati dieci personaggi che entrarono vivi nel Gan ‘Eden (il giardino dell’Eden, ovvero il Paradiso), tra i quali Sèrach figlia di Ashèr. In questo trattato non viene spiegato nulla di questa entrata in paradiso. Vi è però una descrizione nel trattato talmudico Ketubbòt (77b) dell’entrata in paradiso di r.Yehoshu’a figlio di Levi, un maestro del Talmud che visse in Eretz Israel nel secondo secolo dell’era volgare, il decimo nella lista di coloro che entrarono vivi in paradiso.
    Nel trattato di Ketubbòt è raccontato quanto segue: “Quando Rabbi Yehoshu’a ben Levi era sul punto di morire, dissero all’Angelo della Morte: Va ed esegui i suoi ordini, poiché è un uomo giusto e merita di morire nel modo che ritiene opportuno. L’Angelo della Morte andò e gli apparve. Rabbi Yehoshu’a ben Levi gli disse: Mostrami il mio posto in paradiso. Gli disse: Molto bene. Rabbi Yehoshu’a ben Levi gli disse: Dammi il tuo coltello che usi per uccidere i mortali, per non spaventarmi lungo la strada. Glielo diede. Quando arrivò lì, in paradiso, sollevò Rabbi Yehoshu’a in modo che potesse vedere il suo posto, e glielo mostrò. Rabbi Yehoshu’a saltò e cadde dall’altra parte, fuggendo così in paradiso[…]. Il Santo benedetto gli permise di stare in paradiso. L’angelo della morte gli disse: ridammi almeno il mio coltello. R. Yehoshu’a non glielo diede perché non voleva che altre persone morissero. Emerse una Voce Divina che gli disse: Daglielo, poiché è necessario per uccidere gli esseri creati; la morte è la via del mondo”.
    R. Yehudà Loew, noto come il Maharal di Praga (Poznan, m. 1609, Praga) nelle sue spiegazioni dei passi midrashici del Talmud, scrive a lungo su questo argomento. Prima di tutto egli scrive che il passo talmudico che tratta di r. Yehoshu’a figlio di Levi contiene degli insegnamenti molto profondi (e come la maggior pare dei midrashìm non può essere spiegato letteralmente). Egli spiega che i maestri del Talmud volevano farci capire quale fosse il livello spirituale di r. Yehoshu’a figlio di Levi. Il suo livello spirituale era tale che la sua morte non fu causata dall’angelo della morte. L’angelo della morte è quella forza che causa il consumo degli esseri viventi. In questo senso non vi è differenza tra gli esseri umani e gli animali. Gli esseri umani sono però differenti dagli animali nel senso che la morte degli animali è la fine totale dell’essere, mentre la morte dell’essere umano non ne è la fine totale perché rimane la sua anima. Dopo la morte, l’anima umana merita di andare nel Gan ‘Eden, in paradiso, dove ottiene quella connessione con la divinità che è impossibile ottenere durante la vita, come è scritto nella Torà dove l’Eterno disse a Moshè: “Non potrai vedere la mia faccia perché nessun uomo può vedermi mentre è in vita” (Shemòt, 33:20). Solo dopo la morte fisica l’anima umana arriva a quel livello spirituale elevato che permette di ottenere una connessione con la divinità.
    Il Maharal spiega che in questo passo midrashico del trattato Ketubbòt i nostri maestri volevano insegnare che il livello spirituale di r. Yehoshu’a figli di Levi era già così elevato mentre era vivo, che questo livello lo staccò dal mondo materiale. Pertanto la morte non gli arrivò a seguito del consumo fisico. Egli arrivò al livello spirituale che gli altri esseri umani raggiungono dopo la morte mentre era ancora vivo. Da questa descrizione possiamo anche imparare quale fosse il livello spirituale di Sèrach, figlia di Asher, citata nella nostra parashà.
    Incidentalmente, il passo talmudico su r. Yehoshu’a figlio di Levi fu di ispirazione al poeta americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) che scrisse una poesia intitolata “The Legend of rabbi Ben Levi” che può essere visionata a questo link.

    CONDIVIDI SU: