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    Parashà di Pekudè: Cosa significa Pekudè?

    Pekudè è l’ultima parashà del libro di Shemòt  e in essa Moshè presenta il rapporto sull’uso delle donazioni fatte dai figli d’Israele per la costruzione del Mishkàn e sul montaggio del Mishkàn stesso alla fine dei lavori. La parashà è chiamata Pekudè dalla prima parola: “Elle pekudè ha-Mishkàn”(questi sono i conti del Mishkàn) (Shemòt, 38:21).

                R. Pinchas Rozenzweig di Gerusalemme nel suo recente volume Peer Yashàr (1993) sulle parashòtsettimanali, fa notare  che la radice pkd nella Torà e nei libri dei profeti e agiografi appare con almeno cinque significati.

                 Viene usata per indicare un numero, come nel versetto: “E il loro numero (pekudehèm) famiglia per famiglia era di 2750″ (Bemidbàr, 4:36). Un secondo significato è quello di nominare qualcuno, come nel versetto:”E il Re nominò (va-yafkèd) dei funzionari” (Ester, 2:3). Riguardo alla matriarca Sara viene usata questa parola per indicare “ricordo”: “E l’Eterno si ricordò (pakàd) di Sara come aveva detto e mantenne quello che aveva promesso; essa rimase incinta e partorì…” (Bereshìt, 21:1-2).  Con questa parola viene anche indicata una mancanza come nel versetto: ”Ed era rimasto vuoto (va-ipakèd) il posto di David” (I, Shemuèl, 20:25). La radice pkd assume anche il significato di mitzvà come nel versetto: “I precetti  (pikudè) dell’Eterno sono giusti rallegrano il cuore” (Tehillìm, 19:9). 

                R. Meir Leibush Wisser (Volochysk, 1809-1879, Kiev) detto Malbim dalle sue iniziali, uno dei grandi chakhamìm dell’Ottocento, nei suoi scritti sottolineò le differenze tra i vari termini nella lingua ebraica.

                Nel compendio Sèfer Ha-Karmèl, estratto dai suoi commenti, alla radice pkd il Malbim scrisse che, tra le parole che denotano “conto”, il termine pakàd viene a indicare il totale, come quando un Re conta i soldati per conoscerne il totale e decidere chi andrà a combattere. Da qui deriva che il verbo pakàd assume anche il significato di ricordare e anche che qualcosa è mancante. Due esempi sono il versetto succitato riguardo a Davide e anche quello dei combattenti reduci dalla battaglia contro i midianiti i cui generali dissero a Moshè: “I tuoi servitori censirono i combattenti sotto il nostro comando e non ne manca (nifkàd)  neppure uno” (Bemidbàr, 31:49). Quando invece si vuole indicare il conto di una serie di cose o persone viene usato il verbolispòr (contare) dalla radice spr.

                Per quanto riguarda il significato di ricordare, il Malbim scrive che i termini zakhàr e pakàd non sono sinonimi. Il verbo zakhàr (ricordare) viene usato per indicare il contrario del dimenticare, mentre pakàd denota il ricordo di qualcuno per fargli del bene o del male, per ricompensarlo o per punirlo.  Mentre la pekidà (ricordo  seguito da un’azione) è una cosa saltuaria, il zikaròn (ricordo) è una cosa continuativa.  Nel bene è gia stato citato il versetto; “E l’Eterno si ricordò di Sara”. Per una punizione egli cita il versetto che tratta i peccati della popolazione della terra di Canaan: “Non contaminatevi in qualcuno di questi peccati poiché in tutti questi modi si sono contaminati i popoli che sto mandando via da voi. La terra è stata contaminata, perciò  ricorderò (efkòd) il peccato commesso su di essa e la terra espellerà i suoi abitanti” (Bemidbàr, 18:24-25).  

                In genere quando le due parole appaiono insieme, il termine zakhàr precede pakàd, come dire “ricordati di me per ricompensarmi”. In senso negativo, zakhàr precede pakàd come per dire: “Non verranno ricompensati e neppure ricordati”.  Nella tefillà di “Ya’alè Ve-Yavò” che si aggiunge durante i capi mesi e le feste, zakhàr precede pakàd: “Ricordaci (zakhrènu) in questo giorno per il bene e concedici (pokdènu) una benedizione”.

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