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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Nitzavìm-Vayèlekh: Vi sono diversi tipi di ‘Avodà Zarà

    In questa parashà Moshè avvertì il popolo di non pensare che qualcuno possa evitare la punizione divina se servirà “gli dei falsi e bugiardi”. Moshè disse: “Non vi sia tra di voi un uomo o una donna o una famiglia o una tribù il cui cuore si distolga [dall’accettare il patto] dell’Eterno nostro Dio, per andare a servire gli dei di altre nazioni; non vi sia tra di voi una radice che produca veleno e assenzio. E non avvenga che qualcuno, dopo aver udito le parole di questo giuramento, si lusinghi in cuor suo dicendo: Avrò pace, anche se camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore […]. L’Eterno non lo vorrà perdonare […] (Devarìm, 29: 17-19).
    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 371-2) si sofferma sulle parole “Avrò pace, anche se camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore”. R. Elyashiv scrive: Sembra impossibile capire come una persona possa pensare di darsi all’idolatria e di non essere soggetto a nessuna punizione divina. Perché quindi è necessario che venga scritto che “L’Eterno non lo vorrà perdonare”?.
    Per rispondere a questa domanda r. Elyashiv cita i Maestri nel trattato ‘Avodà Zarà (Sull’idolatria, culti estranei, 14b) dove è raccontato che il nostro patriarca Avraham scrisse un trattato sull’idolatria di quattrocento capitoli. Possibile che una trattato su questo argomento comprendesse tanti capitoli? Bisogna capire quindi che vi sono molti tipi e manifestazioni di ‘Avodà Zarà. Per esempio, nel trattato talmudico di Sotà (Sulla donna traviata, 4b) i Maestri affermano che una persona arrogante assomiglia a chi si dedica all’idolatria. Nel trattato di Ketubòt (Sui contratti matrimoniali, 68a), è detto che chi ignora il suo dovere di fare beneficienza assomiglia a chi “adora le stelle” e così via. Questi sono quindi alcuni degli argomenti che erano compresi nel trattato del patriarca Avraham.
    In verità le persone arroganti, coloro che ignorano la beneficienza, o anche che si adirano facilmente non pensano affatto di commettere delle trasgressioni che hanno a che fare con l’idolatria.
    Al contrario, sono lontanissimi dal commettere questa trasgressione. Queste persone frequentano regolarmente il bet ha–kenèsset (la sinagoga), indossano i tefillìn (filatteri) e si comportano in modo regolare. Con tutto ciò la Torà testimonia che nel fondo di queste persone esiste un seme di ‘Avodà Zarà o, nel linguaggio della Torà, “una radice che produce veleno e assenzio”.
    Poiché questa persona pensa “camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore”, egli ritiene di essere a posto e non si rende conto affatto del suo peccato. E così il Signore non lo potrà perdonare. Anche il profeta Geremia (2:35) espresse questo concetto quando disse: “Ecco, Io entrerò in giudizio con te, perché hai detto: Non ho peccato”.
    R. Elyashiv conclude che non è possibile tornare sulla via retta senza la Torà. Per questo motivo i nostri Maestri nella quinta benedizione della ‘amidà (la tefillà, preghiera, che comprende diciotto benedizioni), le parole “fai sì che possiamo tornare alla Tua Torà” precedono le parole “e fai sì che possiamo tornare con totale pentimento alla Tua presenza”.
    R. Joseph Pacifici (nella foto, Firenze, 1928-2021, Modiin Illìt) in Hearòt ve-He’aròt (p. 231) commenta che Moshè sapeva che in quel momento non vi era tra il popolo nessuno che adorava gli idoli, ma temeva che ci fosse qualche “radice” di opinioni false (“veleno e assenzio”) dalla quale sarebbe potuta scaturire l’idolatria. R. Pacifici aggiunge che se non si sradicano le opinioni false dalla radice, ne può venire fuori l’idolatria e sottolinea quindi che lo studio della Torà fatto nel modo giusto impianta nell’uomo opinioni consone con la Torà.

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