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    Parashà di Ki Tissà: Osserviamo almeno due sabati

    Nelle due parashòt precedenti viene raccontato che l’Eterno diede a Moshè le istruzioni per la costruzione del Mishkàn. In questa parashà vi è la notizia della nomina di Betzalèl a capo del progetto. Nel paragrafo che segue è scritto: “L’Eterno parlò a Moshè dicendo: Parla ai figli d’Israele e dì loro: Ma (ach in ebraico) osserverete i miei sabati, perche il sabato e un segno fra Me e voi, di generazione in generazione affinché voi sappiate che Io sono l’Eterno che vi santifica” (Shemòt, 31:12-13). 

                Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta: Anche se ti ho dato il compito di dare loro le istruzioni per la costruzione del Mishkàn, non bisogna tuttavia sospendere il sabato per costruirlo. Nonostante che siate solerti nella realizzazione del progetto, il sabato non dev’essere messo da parte. Poi Rashì aggiunge: Tutte le espressioni “ach” (ma, tuttavia) e “rak” (solo) nella Torà vengono per limitare, per escludere. In questo caso il termine “ach” viene a escludere il sabato dai giorni nei quali si costruisce il Mishkàn.

                Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) non concorda con il commento di Rashì. Egli osserva che secondo quello che si impara dai Maestri riguardo alle espressioni “ach” e “rak”, esse vengono a limitare l’osservanza dello Shabbàt. Pertanto, se si usassero questi termini riguardo all’opera del Mishkàn, si verrebbe (paradossalmente) a permettere il lavoro di Shabbàt. Questa limitazione viene invece a insegnare che è permesso  fare la milà di Shabbàt, anche se per fare la milà è necessario fare delle melakhòt, e anche che in casi di pericoli di vita le proibizioni dello Shabbàt vengono sospese. Egli aggiunge che nel trattato di Yomà (T.Y. 8:5) i Maestri hanno insegnato: “Da dove impariamo che quando si è in dubbio che una persona sia in pericolo di vita si sospendono le proibizioni dello Shabbàt? R. Abbahu disse a nome di R. Yochanan: lo si impara dalla parola “ach” nel versetto dove è scritto “ach (ma) osserverete i miei sabati”.  

                R. Chayim ibn ‘Attar (Marocco, 1696-1743, Gerusalemme) nel suo commento Or ha-Chayìm, afferma che da questo versetto i Maestri insegnano (T.B., Yomà, 84b) che si profana lo Shabbàt per un malato in pericolo di vita. E questo è accennato dal termine “ach” dal quale si impara che in certe situazioni si sospende l’osservanza dello Shabbàt.

                Egli aggiunge che nella Torà è scritto “i miei sabati” al plurale per includere tutti i giorni ai quali si applica la denominazione di Shabbàt, come Kippur e i Mo’adòt (Pèsach, Shavu’òt e Sukkòt). Inoltre l’espressione “I miei sabati” allude al fatto che se è necessario fare una melakhà per dare una medicina a un malato che la deve prendere per otto giorni, non si ritarda di un giorno la somministrazione della medicina per evitare di fare una melakhà di Shabbàt, ma gliela si dà subito anche se è necessario fare una melakhà per due sabati consecutivi. E ancora, l’espressione ”i miei sabati” significa che si deve sospendere un sabato perché non si tratta di una profanazione, ma al contrario di un’osservanza dello Shabbàt: infatti i Maestri insegnano che si profana uno Shabbàt per un malato affinché egli possa sopravvivere e osservare molti sabati. 

                R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) nel suo commento Panìm La-Torà, commenta che l’opera della costruzione del Mishkàn non poteva sospendere l’osservanza dello Shabbàt perché la kedushàdel Mishkàn non è una kedushà ‘olamìt (che dura per sempre). Infatti quando il Mishkàn fu portato in Eretz Israel, venne poi sostituito dal Bet ha-Mikdàsh che venne distrutto prima dai babilonesi e poi dai romani. Lo Shabbàt invece esisterà per sempre, e proprio grazie all’osservanza dello Shabbàt, il Bet ha-Mikdàsh verrà ricostruito. Così infatti insegnarono i Maestri: se tutto Israele osserverà regolarmente due sabati, verrà immediatamente la redenzione (T.B., Shabbàt, 118a). 

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