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    Parashà di Ki Tavò: Due modi per esprimere gratitudine

    Questa parashà si apre con la mitzvà di portare ogni anno le primizie dei sette frutti di Eretz Israel (frumento, orzo, uva, fichi, melograni, olive, datteri) al Bet Ha- Mikdàsh, nel periodo che intercorre tra la festa di Shavu’òt e quella di Sukkòt. Arrivato al Bet Ha-Mikdàsh colui che portava le primizie doveva recitare le seguenti parole: 

                “Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo all’Eterno, Dio dei nostri padri, e l’Eterno ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione. L’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele” (Devarìm, 26:5-9). E continuava dicendo: “ Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Eterno, mi hai dato. Le deporrai davanti all’Eterno tuo Dio e ti prostrerai davanti all’Eterno tuo Dio” Il testo della Torà prosegue con le seguenti parole: “Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che l’Eterno tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia” (ibid., 10-11). 

                R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993) in Mesoras Harav (p. 201) fa notare che questo testo che si pronuncia quando si portano le primizie è quasi uguale a quello che recitiamo durante la sera di Pèsach quando leggiamo la Haggadà. Abbiamo quindi l’obbligo di raccontare la storia dell’Esodo in due occasioni: quando offriamo le primizie e durante la sera del quindicesimo giorno del mese di Nissàn. Mentre la formula da recitare quando si portano le primizie è specificata in questa parashà, la Torà non da’ indicazioni sul testo del racconto dell’uscita dall’Egitto da recitare la sera di Pèsach. Nella Torà è semplicemente scritto in termini generali “Lo racconterai a tuo figlio” (Shemòt, 13:8).  Il testo della Haggadà che leggiamo durante ilSèder di Pèsach è tratto dalle parole dei maestri nel Midràsh Sifrì e comprende versetti della Torà e i relativi commenti.

                Si tratta quindi di due mitzvòt distinte che però hanno un motivo comune che è quello di mostrare riconoscenza all’Eterno per il bene che ci ha fatto. Tuttavia il modo in cui si esprime gratitudine è differente: la formula recitata quando si portano le primizie è una lode, mentre la Haggadà è un cantico (che viene letto con una melodia tradizionale). 

                Quando si portano le primizie la mitzvà di esprimere gratitudine la si compie indirettamente raccontando la storia dell’uscita dall’Egitto, senza lodare l’Eterno in modo esplicito.  La narrazione è sufficiente. Il dovere di esprimere gratitudine viene compiuto nella semplice descrizioni degli eventi, in modo simile alla lettura della Meghillà Purìm. I maestri nel Talmud (Meghillà, 14a) spiegano che a Purìm non si recita lo Hallèl, in lode all’Eterno come si fa durante le feste, perché la lettura della storia  di Ester è di per se la lode più elevata.  

                R. Menachem Genack, uno dei principali discepoli di rav Soloveitchik, nell’introduzione alla HaggadàThe Seder Night, an Exalted Evening” (OU Press, New York, 2009) racconta che rav Soloveitchik  spiegò più di una volta il motivo per cui proprio i versetti della Torà che descrivono l’offerta della primizie fu scelto dai maestri per il Sèder di Pèsach invece dei passi che descrivono in maggior dettaglio l’Esodo nel libro di Shemòt.  Il motivo è che il racconto dell’Esodo è più della commemorazione di un evento storico. I maestri scelsero di proposito il testo succinto della nostra parashà perché si offre a studio e interpretazione ed è un modo per coinvolgere tutta la famiglia nello studio della Torà. 

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