Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Parashà di Devarìm: Una parashà al giorno

    R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) in un lungo saggio in ebraico intitolato “Introduzione generale a tutti i libri della Torà orale” pubblicato a puntate negli anni 1866-8 nel periodico Ha-Levanon, stampato a Parigi da r. Yechiel Brill, scrisse che il passaggio dalla Torà scritta e quella orale è graduale. Il quinto libro della Torà, Devarìm, comprende già alcune delle caratteristiche della tradizione orale perché è la spiegazione che Moshè dà al popolo dei quattro libri precedenti, come è scritto: “Moshè iniziò a spiegare la Torà” (Devarìm, 1:5). 

                Il libro di Devarìm inizia con queste parole: “Queste sono le parole che Moshè rivolse a tutto Israele nel territorio al di là del Giordano nel deserto, nella pianura davanti a Suf, nelle vicinanze di  Paran, Tofel, Lavan, Chatzerot e Di-Zahav.  Undici giorni da Chorev per la via di Se’ir fino a Kadesh Barne’a” (ibid., 1-2). I commentatori offrono diverse spiegazioni sulle parole “Undici giorni da Chorev per la via di Se’ir fino a Kadesh Barne’a”.

                 R. ‘Ovadya Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) afferma che queste parole furono dette da Moshè. Con queste parole egli voleva fare ricordare al popolo che la distanza tra il Monte Sinai e Kadesh Barne’a, la città al confine di Eretz Israel, poteva essere percorsa in soli undici giorni. E fu per colpa dei loro peccati, per aver ascoltato gli esploratori e aver rifiutato di entrare nella Terra Promessa, che furono costretti a vagare per altri trentotto anni nel deserto. Dopo quarant’anni quando la generazione degli uomini che erano usciti dall’Egitto non era più in vita era necessario dare istruzioni alla nuova generazione. 

                R. Eli’ezer Ashkenazi (Italia, 1513-1585, Cracovia) nella sua opera Ma’asè Hashem scrive: “Riguardo alle parole «Undici giorni» ho già scritto in precedenza nel mio commento [alla parashà di Ki Tissà] che si riferiscono alle parole «Moshè iniziò a spiegare la Torà»” perché il libro di Devarìm è composto da undici parashòt e Moshè insegnò al popolo queste undici parashòt in questi undici giorni”. 

                Nel suo commento alla parashà di Ki Tissà, r. Ashkenazi scrive: “Riguardo il periodo di tempo  che Moshè passò sul Monte Sinai,  quaranta giorni e quaranta notti, si può suggerire che essendo il libro di Devarìm la spiegazione della Torà data da Mosè [sottraendo le undici parashòt del libro di Devarìm dal totale della parashòt della Torà] rimangono [negli altri quattro libri] solo quarantatré parashòt. Inoltre, poiché vi sono cinque parashòt che vengono lette insieme ad altre, Vayakhel-Pekudè, Tazria’- Metzorà, Acharè Mot-Kedoshìm, Behar-Bechukkotai e Mattòt-Mass’è [sottraendole dalle quarantatré] ne rimangono trentotto. Questo significa che Moshè quando era sul Monte Sinai imparò i primi quattro libri della Torà in trentotto giorni, in ogni giorno una parashà. Le parashòt che leggiamo [ogni settimana di shabbàt] sono le stesse che Moshè imparò giorno per giorno [sul monte Sinai]. Aggiungendo a questi trentotto giorni, il giorno in cui Mosè salì sul Monte Sinai e il giorno in cui discese dal Monte Sinai [nei quali non imparò nulla perché era in viaggio] arriviamo al totale di quaranta giorni. Pertanto, quando nel libro di Devarìm è scritto: «Undici giorni da Chorev», bisogna collegare queste parole al testo che continua con le parole «Moshè iniziò a spiegare la Torà». Da qui impariamo che Moshè di ogni argomento imparato in un giorno ne fece una parashà separata”. 

    CONDIVIDI SU: