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    Le radici della democrazia

    Forse, dopo quasi un secolo, sarebbe giunta l’ora di accantonare la dialettica fascismo/antifascismo, perché se fra gli antifascisti c’era Giacomo Matteotti, è pur vero che c’erano anche fior di galantuomini come Giuseppe Stalin, nel qual caso dovremmo  riesumare la sana contrapposizione fra totalitarismo e democrazia.

    In una recente intervista di Walter Veltroni a Rino Formica, sul Corriere della Sera,  quest’ultimo asserisce che “In Italia dal 1948 in poi hanno convissuto due tendenze di fondo. La tendenza alla soluzione autoritaria dei problemi difficili a risolversi e la scelta difficile, faticosa, della via democratica. Questo nasce dal fatto che non è stato risolto in via definitiva l’appartenenza toto corde delle masse alle ragioni dello stato democratico. La maturazione democratica delle masse in Italia è stato un processo sempre interrotto. È continuato sempre, ma ha avuto sempre delle interruzioni perché, anche nell’opinione pubblica, talvolta ha prevalso la suggestione della semplificazione. Tanto è vero che oggi la vera questione non è rievocare regimi passati o rischi di regimi passati, il problema sempre aperto in Italia è quello della opzione tra la soluzione autoritaria e quella democratica”.

    La democrazia, in sintesi, non avrebbe mai messo radici abbastanza solide in Italia e il pensiero politico verrebbe convogliato (soggiungiamo noi) attraverso delle semplificazioni: “ci vorrebbe una dittatura” oppure “è colpa delle banche e dei poteri forti”, “l’Europa ci ignora”. Non le ha messe, tali radici, perché non abbiamo alle spalle una cultura liberale, ma una lunga teoria di piccoli e grandi despoti, di mafie locali e non e, nel dopoguerra, un panorama partitico dove molti richiami alla democrazia erano in aperta contraddizione con la loro ideologia. Se così non fosse, non si spiegherebbe come mai dei convegni di estremisti (eufemismo) siano frequentati da tanti esponenti politici di primo piano: europarlamentari, parlamentari, consiglieri regionali e così via.

    Possiamo pure continuare a disquisire di memoria, purché si abbia presente che, secondo la scienza, ricordare gli eventi risalenti e rimuovere l’attualità non è esattamente un segno di benessere naturale. È vero che chi ignora il passato è condannato a ripeterlo, ma questo non vuol dire che chi ignora il presente stia facendo la cosa giusta. Non credo che si trovi un filantropo che voglia finanziare il Museo del Presente, perché non tutti gli ossimori possono trovare ospitalità. A Jorge Luis Borges, tuttavia, un siffatto Museo sarebbe piaciuto. Non possiamo riesumare la lanterna di Diogene per cercare col lanternino che sia interessato al presente, anche perché l’illustre personaggio non era un modello di equilibrio. Possiamo però ipotizzare che guidiamo un’automobile che, a fronte di un bel retrovisore, ha il parabrezza totalmente oscurato.

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