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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    La sacralità della terra d’Israele

    Israele dispone di tecnologie avanzate. Abbiamo assistito ad un miracolo nel momento in cui centinaia di missili e droni erano stati indirizzati per seminare morte e distruzione sulla nostra terra. Ma il Santo Benedetto Egli Sia, con la Sua Mano Forte, ha cambiato le sorti di ciò che poteva accadere. Non dorme e non sonnecchia il custode d’Israel, poiché ha un rapporto speciale con la sua terra.

    La terra d’Israele ha un legame particolare con il popolo ebraico. È una terra caratterizzata da santità. Gli ebrei parlano di kedushat aharez, santità della terra, di erez hakodesh, terra di Colui che è Sacro. Da millenni, argomenti di discussione, le cui conclusioni hanno implicazioni halachiche e politiche.

    La prima distinzione da fare riguarda la santità della terra di per sé, legata ad una scelta divina. E la santità legata alla presenza ebraica.

    Erez Israel, anticamente la terra di Canaan. Terra a statuto speciale per quanto riguarda il rapporto che il Signore ha con questo luogo. È una terra della quale l’Eterno si prende cura. Gli occhi dell’Eterno sono costantemente su di essa, dall’inizio dell’anno fino al termine dell’anno (Devarim 12, 12).

    È chiamata nachalat aHashem, il territorio di Dio (Shemuel 26, 19) ha uno stato privilegiato che esiste dall’inizio della creazione. È un rapporto che rimarrà perenne. Una persona deve sempre preferire di vivere in Israele, anche in una città a maggioranza ebraica fuori. Chiunque abiti fuori Erez Israel è come se non avesse Dio. Chi è sepolto in terra d’Israele, è come se fosse sepolto sotto l’Altare. Questo rapporto di sacralità è eterno. Esiste un’area privilegiata, dove sorgeva il Santuario.

    Il Signore disse a Salomone: Io ho consacrato questa casa che tu hai costruito per il Mio Nome in Eterno (I Re 9, 3). Il Signore ha scelto Sion come residenza, l’ha desiderata come Sua dimora. Questo sarà il luogo del Mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l’ho desiderato (Salmi 132 ) Nelle Cronache è detto, ecco io costruisco una casa a nome del Signore, per consacrarlo per l’eternità.

    Nel Trattato dei Kelim impariamo che esistono dieci livelli di santità. Iniziando da Erez Israel che è mekudeshet, consacrata: in questa terra si possono portare l’omer, le primizie, i pani per la festa di Shavuot. Le città che sono circondate da mura, hanno un livello superiore, ospitano solo persone ritualmente pure. All’interno delle mura di Gerusalemme, si consumavano il sacrificio pasquale e la seconda decima.

    L’Ar Abait, luogo dove sorgeva il Bet Hamikdash. Diverse possibilità di accesso in quell’area, rispetto allo stato di impurità. La più forte, chi ha avuto contatto con un morto. Dalla quale ci si libera, dopo essere stati spruzzati con un liquido puro, in cui è sciolta la cenere della vacca rossa.

    Un primo ingresso in Erez Israel, il popolo uscito dall’Egitto, che dopo quarant’anni l’ha conquistata. La prima consacrazione di un vasto territorio. Dopo l’esilio babilonese, il popolo ebraico torna in Israele, qualche decennio dopo in modo pacifico. Esrà ricostituisce i confini. Il Talmud si chiede che valore poteva avere questa consacrazione in mancanza di alcuni presupposti, i re, gli urim e tumim. La risposta: non c’era bisogno della consacrazione perché la consacrazione rimaneva. Altro problema che si pone l’halachà se la prima kedusha sia rimasta tale, ovvero una seconda si è sostituita alla prima. E questa seconda, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme rimane?

    È verso Gerusalemme che ci rivolgiamo quando preghiamo ogni giorno, per noi simbolo di santità e connessione spirituale. Punto di riferimento di ogni ebreo della diaspora. Se ci potessero parlare quei bigliettini accartocciati inseriti nei resti di pietre antiche intrise di storia del Muro del Pianto, così chiamato perché ancora piangiamo la distruzione del Tempio: ringraziamenti, preghiere, richieste. Voci di suppliche, di disperazione, di speranza, di fede. A concludere l’insegnamento di rabbì Chaninà, valido per i suoi tempi e per i nostri, sottolinea l’importanza dei miracoli che interessano la vita quotidiana, i piccoli gesti, gli incontri fortuiti. Basta una parola per rallegrare una giornata, ogni uomo può affrettare la Redenzione. Come lui, sogniamo di andare a Gerusalemme, sogniamo di deporvi un’offerta…Pesach è alle porte. Quando diremo Leshanà haba’ha BYrushalaim, l’anno prossimo a Gerusalemme! In un momento così delicato, le corde della nostra anima vibreranno come non mai.

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