Negli ottanta anni passati dall’apertura dei cancelli di Auschwitz (ma non dalla fine della Shoah che continuò fino alla caduta del nazismo) le dinamiche del racconto e della trasmissione della memoria sono cambiate continuamente. Da una parte le testimonianze scritte, inizialmente limitate, ma incisive e decisive (basti pensare a Primo Levi e Elie Wiesel), poi diventate un torrente di macro e microstorie. Dall’altra le testimonianze verbali dei sopravvissuti, alcuni dei quali raccontarono subito ma non furono creduti, molti altri preferirono il silenzio per decenni, e poi l’esplosione dei racconti e il ruolo sociale dei sopravvissuti, sempre più al centro dell’attenzione e del rispetto, e considerati riferimento morale per l’intera collettività. E insieme l’evoluzione mediatica, dai libri ai giornali alla radio, alla televisione, al cinema e finalmente con tutti i mezzi social che la rete mette a disposizione. Poi l’evoluzione delle mentalità e con queste della politica, con la legge che istituisce il Giorno della Memoria a fare da spartiacque perlomeno tecnico tra due epoche. Ma è un riferimento parziale perché le dinamiche delle mentalità, dell’attenzione, della ricezione, sono complesse, non uniformi e in continua trasformazione.
Per questi motivi, benché la letteratura sulla Shoah sia molto vasta e sia possibile classificarne i testi in gruppi maggiori (studi storico-scientifici, testimonianze singole e collettive, interpretazioni e riflessioni spirituali, romanzi e fiction, inchieste, ecc.) i contributi più recenti tendono a sfuggire a inquadramenti precisi e devono fare i conti con i cambiamenti imposti dal tempo.
È con queste premesse che va letto e studiato il libro di Ariela Piattelli, Il futuro e la memoria. Shoah, antisemitismo e Generazione Z (RaiLibri), che è in parte libro di testimonianze, che riprende storie di noti protagonisti, ma è soprattutto una messa a punto della situazione “memoria” ai nostri giorni, quali sono le difficoltà di trasmissione e come si pongono rispetto alla Shoah i giovani della Gen Z, la generazione dei nati tra la fine degli anni novanta e i primi anni del 2000. Un primo piccolo gruppo ben identificato di questa Gen Z è costituito da discendenti di sopravvissuti che raccontano come hanno appreso le storie dalla viva voce dei nonni e gli zii, in quali circostanze, casuali o intenzionali, e come queste storie hanno impattato la loro personalità. Poi vi sono quelli che non sono parenti o amici, ma sui quali le storie della Shoah hanno avuto un effetto formativo e di indirizzo. E c’è poi la fascia più larga che apprende queste storie dai viaggi, dalla televisione, dai film, e reagisce in vario modo. È proprio l’enigma di questo recepimento uno dei temi drammatici di questo libro. I testimoni diretti, le guide, gli insegnanti, che parlano di loro sono perplessi e stupiti dalla varietà di reazioni che fin troppo frequentemente sono di distacco, banalizzazione, scherno. È probabilmente questo l’aspetto più importante e inquietante di questo libro, la misura degli effetti educativi e psicologici di investimenti sempre più crescenti negli anni. Mentre la conoscenza si è diffusa, l’ignoranza combattuta, sembra che per molti tutto questo sia un passato lontano e non interessante. Non interessante, perché altre cose interessano.
Questo libro inevitabilmente mescola i problemi della ricezione interna al mondo ebraico e quella esterna. Sono due prospettive differenti, ognuna con le sue difficoltà. All’interno dell’ebraismo la crescita della narrativa sulla Shoah si è accompagnata alla creazione di un forma identitaria ebraica quasi alternativa ai modelli tradizionali, basata sul tema della vittima, della persecuzione, della storia di sofferenze, fino a diventare una sorta di religione alternativa con i suoi riti, pellegrinaggi, ricorrenze, sacerdoti. Un modo non troppo sano di vivere l’ebraismo. Sembra però dalle testimonianze raccolte in questo libro che almeno nella Gen Z ebraica l’esperienza della Shoah sia elaborata in modo più positivo. Per quanto riguarda l’esterno, lo stimolo fondamentale alla diffusione della memoria è stato quello di educare le coscienze affinché quello che era stato non si ripetesse più e che la società si dotasse delle sensibilità e degli anticorpi necessari. Vediamo da quanto scritto da Piattelli che questo risultato stia quasi sfuggendo di mano e che si impone una riflessione su come correggere il tiro.
E poi c’è la questione del 7 ottobre che ha complicato terribilmente tutto quanto. Da una parte, con tutte le discussioni se quello che è successo in quel giorno potesse essere messo a confronto con la Shoah, di cui sempre si era voluto rivendicare l’unicità. Ma è in definitiva un problema secondario rispetto all’altro, l’uso propagandistico anti-israeliano della reazione militare, con il vocabolario della Shoah: questo ha lo scopo preciso di dire che in definitiva non bisogna commuoversi troppo e colpevolizzarsi per la Shoah se gli stessi israeliani-ebrei ne stanno facendo un’altra. E così è saltata tutta la narrativa della Shoah. Attenzione, non è un problema nato il 7 ottobre, era tutto pronto da tempo e la reazione al 7 ottobre ha solo offerto l’occasione mediatica su un vassoio d’argento. Dal lontano 1967 gira in bocca di intellettuali la frase “le vittime sono diventate carnefici”. Più recente in un’intervista del maggio 2014 (ben precedente al 7 ottobre del 2023) rav Jonathan Sacks parlando del nuovo antisemitismo aveva spiegato:
“Quella che è emersa negli anni dopo l’Olocausto come autorità morale fondamentale in una cultura è stato il concetto dei diritti umani. Ed è per questo che nel nuovo antisemitismo Israele è stato accusato dei cinque peccati cardinali contro i diritti umani che sono: razzismo, apartheid, pulizia etnica, crimini contro l’umanità e tentato genocidio. Questa è la forma basilare del nuovo antisemitismo. È diretto, non come in passato, agli ebrei come membri di una religione o membri di una razza, ma agli ebrei nella loro capacità nazionale, o come cittadini o come sostenitori dello Stato d’Israele”.
L’analisi di rav Sacks si sta realizzando giorno per giorno negli ultimi mesi su scala globale. E travolge la memoria della Shoah, complicando tutti i problemi di cui Ariela Piattelli ha discusso nel suo libro.