Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    La haftarà di Tishà be-Av a Corfù

    Nel giorno di Tishà be-Av, il nono giorno del mese di Av, l’anniversario della distruzione di Gerusalemme nel quale si digiuna, dopo la lettura della Torà, viene letta come haftarà un passo tratto dal profeta Yirmeyahu (Geremia, 8:13-9:23) che inizia con le parole “Asòf asifèm” (“Li distruggerò totalmente).

                Nel primo versetto il profeta scrisse: “Li distruggerò totalmente, parola dell’Eterno,  non vi sarà più uva nella vite, né fichi nel fico; le foglie stesse appassiranno; ed anche ciò che io darò loro sarà loro tolto”. 

                Nel gennaio del 1996, il Dr. Eliezer Hurwitz, professore alla Yeshiva University di New York, mi mandò un antico manoscritto della haftarà di Tishà be-Av di Corfù, con un commento scritto con caratteri ebraici e in una lingua che riteneva fosse italiano. Leggendo il testo del commento, pensai che fosse dialetto siciliano e per cercare di capirne il significato andai dal barbiere locale qui a Brooklyn, un certo Angelo Ricca, siciliano di nascita. La sua reazione fu che “questo dialetto lo parlano sulle montagne della Sicilia”!  Il testo in caratteri latini (in originale nella foto allegata) era il seguente: 

     

    Dissi Yiremiya lu prufetu a Israele: Sovra che passàru Israel sovra la Torà she-bikhtav   e sovra la Torà she-be’al-pe, se finissendu sefinissero a issi dittu A-donai; non comu li uvi che in la viti chi si ricoghinu a pocu a pocu e non comu li fichi che i la ficara chi si ricoghinu a una a una si non tutti insiemi fruttu e foglie; i serà cassacanti e casculanti pirchè la Torà santa che dunau a issi sovra lu munti di Sinai passàru sovra de issa. 

     

    Risposi al Dr. Hurwitz con la seguente tentativa traduzione inglese del testo: 

     

    Yirmiya the prophet said to Israel: because Israel transgressed the written and the oral Torah, they will be finished, the Eternal told them; not like the grapes of the vine that are picked little by little, not like the figs on the fig tree that are picked one by one but not all together fruit and leaves; they will fall because they transgressed the holy Torah that I donate them on the mountain of Sinai. 

     

    Qualche settimana dopo Dr. Hurwitz mi mandò copia di una lettera ricevuta dal Dr. Seth Jerchower il quale scrisse che gli ebrei di Corfù venivano in origine dalla penisola del Salento nelle Puglie, dove i dialetti appartenevano alla famiglia dei dialetti siciliani e calabresi, dell’estremo sud. Tuttavia dopo aver esaminato bene il testo e le coniugazioni, il Dr. Jerchower concludeva che si trattava della lingua franca (koinè) degli ebrei nella regione. 

     

    La haftarà, che inizia all’ottavo capitolo, viene fatta proseguire al nono capitolo per terminare con parole di consolazione: “Così ha detto l’Eterno: Il saggio non si glorii della sua saggezza, e il forte non si glorii della sua forza, e il ricco non si glorii delle sue ricchezze; ma chi si gloria si glorii di questo, che egli ha intendimento, e conosce me; perché io sono l’Eterno, che fa magnanimità,  giustizia e beneficienza nella terra; perché queste sono le cose che gradisco, dice l’Eterno”.

     

    CONDIVIDI SU: