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    L’amore contro l’odio gratuito. Una riflessione su Tishabeav

    Il 9 di Av è una data segnata a lutto da 2000 anni ed è il giorno deciso da Dio per piangere per un vero motivo. Il lutto sta nella distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta due volte, nel 586 a. e. v. e, definitivamente, nel 70. I maestri nel Talmud (Yomà 9b) hanno spiegato che il I Tempio fu distrutto a causa di tre gravi colpe: idolatria, incesto e omicidio. Il II Tempio, nonostante il popolo ebraico studiasse Torà, osservasse le mitzwoth e facesse buone azioni, fu distrutto a causa del sinat chinam/l’odio gratuito. Questa cattiva qualità rappresentò un grandissimo limite e generò una serie di conflitti e contrasti interni estremamente gravi per l’unità della nazione ebraica che provocarono la distruzione del Tempio e il conseguente esilio.

    Il I Tempio è stato possibile ricostruirlo e poi anche abbellirlo. Ciò non è avvenuto dopo la seconda distruzione. Cosa ha l’odio gratuito di così devastante tanto da non aver permesso una nuova ricostruzione del Tempio? Cos’è l’odio gratuito e come possiamo contrastare le sue gravi conseguenze?

    Così dice Rav Avraham Itzchak Ha Kohen Kook (1865-1935): “Se fossimo distrutti e il mondo con noi a causa dell’odio gratuito, ricostruiremo noi stessi e il mondo con noi con l’amore gratuito/ahavat chinnam” (Orot Ha Qodesh vol. III).

    Un concetto simile sembra essere presente nel pensiero di Maimonide, che, nella sua opera Shemonà Peraqim (cap.4), scrive che i tratti negativi della persona si possono correggere con una temporanea azione di compensazione di senso opposto. Ad esempio, chi è avaro di natura dovrebbe bilanciare questa caratteristica agendo in modo straordinariamente generoso, fino a quando non riesce a sradicare la sua avarizia. Allo stesso modo, riuscire a portare all’estremo l’amore gratuito vuol dire riuscire a restaurare i danni catastrofici dell’odio gratuito.

    Tuttavia, a differenza dell’affermazione di Maimonide, in quella di Rav Kook spicca l’idea che l’amore gratuito non debba essere solo un rimedio temporaneo, un’azione momentanea che si esaurisce nel tempo in cui si deve riparare ad un danno. L’amore gratuito deve essere considerato un ideale, un valore, il risultato della nostra capacità di percezione dell’unità e della bontà di fondo del mondo come stabilito dal Creatore stesso: “E Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono…” (Genesi 1:31). Solo così potremmo avere a disposizione una grande forza che possa permettere di non far provocare le catastrofi per le quali, poi, si abbia la necessità di una restaurazione.

    Nel pensiero di Rav Kook odio gratuito e amore gratuito, nonostante siano evidentemente agli opposti nei loro effetti, condividono la stessa fonte, la nostra risorsa interiore della vita (otzar hachayym). Questa forza alimenta tutto ciò che incita a vivere e prosperare e si oppone a tutto ciò che considera diverso e minaccioso. Questa fonte comune ama ciò che è buono e produttivo e odia ciò che è malvagio e distruttivo; questo odio si radica e manifesta nel sinat chinam/l’odio gratuito, che Rav Kook definisce come una sorta di animosità infondata e irrazionale, una reazione a qualcosa di diverso rispetto alla nostra natura.

    Per sopravvivere a questa reazione del nostro “sistema immunitario spirituale” bisogna cercare di trovare la profondità del bene in ciò che percepiamo come negativo, estraneo. Solo così potremo riconoscere quanto bene può risultare da azioni e idee cui ci opponiamo. In questo processo scopriremo l’infondatezza del nostro odio trasformandolo in amore e apprezzamento. Per questo Rav Kook scrive che l’ahavat Israel/l’amore per il popolo ebraico, non parte dal cuore, ma dalla testa. Per amare e comprendere veramente il popolo ebraico – ogni singolo ebreo e la nazione nel suo insieme – è necessaria una saggezza, una conoscenza accurata e molteplice. Questa ricerca intellettuale è già parte fondante della disciplina dello studio della Torà.

    L’importanza della conoscenza, come strumento per attivare l’amore gratuito, e del suo legame con il Tempio di Gerusalemme la ritroviamo in questo passo talmudico (Berakhot 33a):

    E Rav Amì disse in lode della conoscenza:“Grande è la conoscenza che è stata posta tra due lettere, due nomi di Dio, come è affermato ‘Poiché Dio della conoscenza è il Signore’ (I Samuele 2:3)”. Allo stesso modo, Rabbì El‘azar disse: “Grande è il Bet HaMiqdash, poiché anch’esso è stato posto tra due lettere, due nomi di Dio, poiché è affermato: ‘Tu li introdurrai e li pianterai sul monte del Tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per Tua dimora, nel santuario che le Tue mani, o Signore, hanno stabilito’ (Esodo 15:17)”. Notando il parallelo tra queste due idee, Rabbì El‘azar aggiunse: “Chiunque abbia conoscenza, è come se il Bet HaMiqdash fosse stato costruito ai suoi giorni; la conoscenza era posta tra due lettere (Nome di Dio) e il Bet HaMiqdash era posto tra due lettere.

    In un’epoca di pandemia, crisi economica e guerra, proviamo per questo prossimo giorno di lutto, pianto e digiuno, a prendere su di noi un serio impegno, magari considerandolo simbolicamente come la posa di una piccola pietra per la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. Impariamo a far scaturire l’amore gratuito dal nostro animo, studiamo e osserviamo la Torà per acquisire conoscenza, consapevoli che essa rappresenta la pietra angolare per la futura e definitiva ricostruzione, quando il Signore vorrà, presto ai nostri giorni. Amèn.

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