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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Kippur: Il giorno in cui dobbiamo giudicare noi stessi

    R. Gedaliah Schorr (Polonia, 1910-1979, Brooklyn) in Or Gedaliahu (Mo’adim, pp. 16-17) cita il Talmud Yerushalmi (Makkòt, 2:6) dove viene posta la domanda su cosa deva fare colui che ha peccato. Il Santo Benedetto risponde: “Che faccia teshuvà e otterrà il perdono”. La teshuvà ha la forza di eliminare il danno causato all’anima con il peccato perché nel momento in cui una persona fa teshuvà, il Santo Benedetto, grazie alla Sua benevolenza, purifica il suo cuore. Il Santo Benedetto rimette a nuovo il suo cuore e la sua anima come se non avesse peccato. Ed è come se colui che ha commesso il peccato fosse stato creato a nuovo. A tal fine sono necessarie due condizioni: la prima è che l’uomo si penta di quello che ha fatto nel passato e si riproponga di comportarsi bene nel futuro, cioè faccia teshuvà; la seconda che il Signore lo purifichi. Questo è il significato di quello che disse il navì (profeta) Zekharià (Zaccaria, 1:3) con le parole: “Torna a me disse il Signore delle schiere ed Io tornerò da voi”. In modo figurativo, il profeta dice che se l’uomo torna verso il Signore, allora il Signore torna da lui e gli toglie quella mancanza di senso che causò il peccato.
    Questo messaggio appare anche nella Mishnà (Yomà, 85b), nella quale viene citato r. Akivà che dice: “Felici o voi, Israeliti, nel cospetto di chi voi vi purificate, e chi vi purifica, il Vostro Padre che è in Cielo […] cosi come il mikvè purifica coloro che sono impuri, il Santo Benedetto purifica Israele”. L’uomo ha il dovere di purificare se stesso e di fare teshuvà, e poi la purificazione gli arriva dal Signore perché la teshuvà da sola non è sufficiente per purificarlo.
    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 439) cita il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) che spiega che quanto scritto nella parashà di Nitzavìm “Perché questa mitzvà che ti ordino oggi non è nascosta né lontana da te” si riferisce alla mitzvà della teshuvà. Il testo della Torà continua con le parole: “… non è nei cieli […] e neppure al di la del mare” ed è quindi vicina e facile da mettere in pratica.
    R. Elyashiv fa notare la difficoltà di questo passo: in effetti appare che sia molto più facile andare oltremare che cambiare anche un solo tratto del proprio carattere, della propria situazione spirituale. Per risolvere questa difficoltà egli cita il Midràsh Tanchumà (Shofetìm, 8) dove è detto che quando un giudice comincia ad accettare regali e a farsi corrompere diventa “cieco” e non è più in grado di giudicare in modo veritiero. Farsi corrompere una sola volta, anche per una cosa da poco, è sufficiente per rovinare la capacità di giudicare in modo onesto per il resto della vita.
    Nei giorni che precedono il giorno di Kippur una persona deve fare il giudice di se stesso e verificare se il suo comportamento è stato quello giusto. Ma come è possibile fare una cosa del genere? Se un giudice può essere corrotto per poca cosa, come fa una persona a vedere le propria colpe? Come fa una persona che ha vissuto per tanto tempo comportandosi in un certo modo, decidere di cambiare da un giorno all’altro un tratto di carattere, il proprio modo di vedere e di fare?
    Con tutto ciò la Torà ci ha promesso che la teshuvà, che consiste nel cambiare vita e scegliere la retta via, “Non è nascosta”. Nonostante i preconcetti che una persona possa avere e il suo modo di vivere fossilizzato, non è impossibile riconoscere la differenza tra il vero e il falso. Pertanto la via verso la teshuvà è aperta a tutti.
    Nel secolo passato in Italia, Alfonso Pacifici (Firenze, 1889-1983, Bene Berak) condusse un gruppo di coetanei al ritorno alle mitzvòt. Per questo gruppo non si trattava di ricreare se stessi ritornando da una via che avevano abbandonato. Era in gran parte un gruppo di persone profondamente assimilate che non sapevano quasi nulla della Torà. Si trattava, come insegnò Pacifici, di trovare in se stessi il proprio essere ebreo. Un percorso ancora più difficile della teshuvà. E se a Firenze all’inizio del Novecento fu possibile per alcuni trovare l’ebreo in se stessi, a maggior ragione oggi è possibile trovare il ritorno sulla via della Torà e delle mitzvòt.

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