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    Il confine esplosivo di Gaza: una faida tutta palestinese

    Come sanno tutti coloro che seguono anche solo un po’ le cronache, dal mese di marzo nella striscia di Gaza si svolgono intensi torbidi, per lo più nelle giornate festive del venerdì. Migliaia, talvolta decine di migliaia di persone si riuniscono in punti stabiliti presso il confine con Israele (riconosciuto dalla comunità internazionale) e cercano di  sfondarlo con bombe, armi e cesoie. Di continuo altri gruppi diffondono in aria palloni molotov ed esplosivi che hanno provocato gravi incendi in Israele, e talvolta vi sono anche lanci di razzi sulle città israeliane. Lo stato ebraico ha schierato sul confine unità dell’esercito che respingono gli attacchi con lacrimogeni e altri mezzi non letali, sparando però su chi sfonda la barriera o usa armi, perché un’incursione sarebbe molto pericolosa per i villaggi vicini. La tattica dello scontro frontale fra orde di assalitori e un esercito ben organizzato è stato devastante. I morti arabi sono 220 (non ce ne sarebbe neanche uno senza l’assalto al confine). Ora sembra arrivato il momento in cui Hamas, che controlla le manifestazioni, ne ha avuto abbastanza, ha capito che non solo non può sfondare, ma non ottiene neanche la solidarietà internazionale che voleva. Sembra propensa di accettare le proposte di mediazione dell’Egitto, che dovrebbero riportare la situazione a prima di marzo, eliminando le sanzioni economiche adottate da Israele in cambio della cessazione di scontri e palloni esplosivi. Ma non è detto che ci si riesca, perché all’accordo si oppone l’Autorità Palestinese. Una tregua per Gaza, dicono, sanzionerebbe l’indipendenza di Hamas, e questo non è accettabile. Probabilmente la carneficina continuerà, in nome della faida fra le organizzazioni palestiniste. E poi qualcuno dice che è Israele a non volere la pace.  

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