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    Emergenza coronavirus. Il bisogno di un rito e l’aiuto agli anziani soli

    di David Meghnagi *

    “La mia vita l’ho fatta e ho i miei anni. Ma non vorrei morire così, sola, senza un funerale e senza le nostre cose”. La signora ha superato gli ottanta e di fronte alle immagini che scorrono sul video, sente il bisogno di confidare alla nipote, una mia ex studentessa dell’Università di Pescara, dove ho insegnato nella seconda metà degli anni settanta e ottanta,  che vorrebbe morire dopo che tutto questo è passato. “Nel Gargano, aggiunge, “si è conservata l’usanza di avvolgere la salma in un sudario prima di deporla nella bara”. Il lenzuolo che avvolge il morto è un simbolo profondo. Rappresenta l’estremo sforzo di restituire alla madre terra il morto, proteggendolo attraverso una seconda pelle che  rievoca la memoria della protezione delle cure materne. Avvolto nel Tallet il morto non è “solo”. Con lui  simbolicamente sono presenti  le generazioni che lo hanno preceduto, i sopravvissuti e le generazioni  che verranno, unite da una medesima preghiera e speranza. Nel Gargano dove un tempo gli ebrei erano numerosi, l’usanza di avvolgere la salma in un sudario si salda con i resti di una storia  più antica, che la pietas popolare di avvolgere il morto in un sudario riporta in luce. “Quando mia madre mi chiese di farle avere il sudario” aggiunge la mia ex studentessa,  “ne feci arrivare uno dal Paese. Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma non lo è. Mia zia ha ragione”. E con lei tante persone anziane, sole e spaventate, che di fronte alle immagini che scorrono sul video non hanno persone  con cui condividere pensieri ed emozioni, mentre  avrebbero bisogno di una parola amica per rendere più tollerabile l’angoscia della notte.  

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