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    EUROPA

    L’Haggadà di Sarajevo, storia e fascino di un manoscritto immortale

    A poche ore dall’inizio di Pesach in ogni casa ebraica le haggadoth sono pronte per essere utilizzate: ne esistono tantissime versioni più o meno preziose e conosciute. L’Haggadà di Sarajevo ha una storia e delle caratteristiche che meritano di essere narrate: si distingue per la bellezza delle sue immagini, per l’utilizzo di colori impreziositi da oro e rame, per il fantastico mondo degli animali presentati, per gli ornamenti floreali e geometrici; la sua storia è talmente insolita e avventurosa da sembrare frutto dell’immaginazione, una storia di tempi duri, di salvezza, debolezza e forza umana.

    L’Haggadà di Sarajevo è stata realizzata a Barcellona intorno al 1350, probabilmente per una ricca famiglia ebraica; dopo la cacciata degli ebrei del 1492, molti manoscritti ebraici vennero distrutti, ma l’Haggadà di Sarajevo sopravvisse; riapparse nel 1609, a Venezia, dove il prete Domenico Vistorini, che l’aveva ispezionata, si accertò che non contenesse nulla contro la Chiesa, annotando sull’ultima pagina del libro: “Revisto per mi”. Nel 1894 l’opera ricomparve a Sarajevo dopo essere stata venduta dalla famiglia di Josef Kohen al Museo Nazionale della Bosnia ed Erzegovina. Ma la straordinaria storia dell’Haggadà di Sarajevo non finì con la collocazione del manoscritto nei tesori sotterranei del Museo. Del prezioso libro era ben informato un gerarca nazista che nel 1942 si presentò al Museo chiedendo la consegna del manoscritto. “Purtroppo è già passato un altro ufficiale tedesco che ha portato via il libro. Non ho osato chiedere il suo nome” mentì il direttore della biblioteca del Museo Korkut. Korkut era un erudito, parlava dieci lingue, apparteneva a una nota famiglia di intellettuali, ma era soprattutto un uomo coraggioso: portò l’Haggadà fuori dal Museo e la nascose in un villaggio ai piedi del monte Bjelašnica, dove rimase per tutta la Seconda Guerra Mondiale. Korbut nascose a casa propria anche una ragazza e riuscì a salvarla. Il destino fu generoso con il manoscritto, ma non lo fu altrettanto con lui che dopo la guerra fu imprigionato e anni dopo riconosciuto Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem.

    Mezzo secolo dopo, durante le terribili guerre in ex Jugoslavia che hanno duramente colpito la Bosnia-Erzegivina, tra il 1992 e il 1995, il Museo di Sarajevo venne bombardato, ma l’Haggadà fu ancora una volta salvata, nascosta nel caveau di una banca dal direttore del Museo. Nel 2017, l’Haggadà è stata inserita nel patrimonio “Memorie del mondo” dell’UNESCO, e nuovamente esposta nel Museo Nazionale della Bosnia ed Erzegovina, recentemente restaurato, dove è conservata all’interno di un’alta teca in vetro. Per Pesach del 2006 ne sono state stampate 613 copie anastatiche, mentre nel 2018 è uscita una nuova riproduzione anastatica correlata dallo studio dell’illustre storico dell’arte israeliano Shalom Sabar. Sabar propone lo studio completo e dettagliato della storia del manoscritto e un esame rigoroso delle illustrazioni e del testo. La straordinaria colorazione dell’Haggadà emerge in tutto il suo ricco splendore e le decorazioni sono di grande impatto emotivo: un irrinunciabile invito a scoprire e riscoprire la bellezza del racconto dell’uscita dall’Egitto.

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