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    La Madrid ebraica e la resistenza attiva dello studio

    Cosa ci aspetteremmo faccia un maestro, un rabbi, un leader spirituale che stia vivendo i terribili e disperati giorni di una Gerusalemme assediata ed affamata dai Romani nel 70 E.V?

     

    Ci aspetteremmo un discorso infuocato che inciti alla ribellione, una disperata preghiera urlante verso il cielo, un gesto di sostegno per gli assediati?  Rabbi Yochanan ben Zakai non fece nulla di tutto questo. Uscì da Gerusalemme sotto assedio, sembrò abbandonare il suo popolo, si finse morto per poter uscire perché gli zeloti non permettevano l’abbandono delle città, pena la morte e si presentò davanti a Vespasiano chiedendo la possibilità di poter aprire una scuola a Yavne e salvare i suoi saggi. (Talmud Ghitin 56B)

     

    In sostanza, rabbi Yochanan ben Zakkai chiede a Vespasiano l’insegnamento, la trasmissione della cultura e dello studio come futura ed immediata salvezza dell’identità ebraica.  A Gerusalemme tutto è perso o si sta per perdere: il Bet Hamikdash, l’indipendenza politica, l’unità del popolo, il rispetto sociale, da dove ripartire per salvare l’identità ebraica del futuro? Da una accademia, dalla scuola. Da un luogo di studio.

     

    Un anno fa, due giorni prima di Purim la Comunidad de Madrid, seguita poi dalle altre comunità autonome di Spagna, dichiarò la necessità della chiusura delle scuole e dell’inizio del lockdown fino alla fine dell’anno scolastico. Allo stesso modo dallo scorso settembre la Comunidad de Madrid così come la Consejeria de Salud hanno dichiarato la necessità ed il dovere del ritorno a scuola, l’obbligo di salvarne lo spazio e la vita. Come coordinatore Covid della scuola ebraica di Madrid mi sono dovuto immediatamente adeguare alle nuove norme per gli istituti scolastici, ed ho aderito al ritorno sui banchi, pur con un certo scetticismo, almeno per le prime settimane. Domande e dubbi affollavano le riunioni del gruppo dirigente della scuola Ibn Gabirol – Estrella Toledano: “Riusciremo a gestire più di 300 alunni con mascherine e distanza? Riusciremo ad adeguare gli spazi scolastici, le aule, la mensa, la palestra alle nuove norme? Riusciremo a costruire un sistema di entrata ed uscita che salvaguardi la salute degli alunni, delle famiglie ed il funzionamento del centro? Saremo capaci di creare una comunicazione fluida e veloce con le famiglie per garantire la salute di tutti gli alunni ed evitare l’eventuale diffusione del virus all’interno della scuola? E, sopra ogni cosa, saremo capaci di trasmettere, insegnare, fare cultura e creare uno spazio sereno per i nostri bambini, adolescenti, giovani adulti?” E qui entra in gioco Rabbi Yochanan. Entra in gioco l’impegno ebraico per l’educazione, al di là di una realtà che sembra drammaticamente compromessa o terribilmente complicata. Ma se Rabbi Yochanan si sarà posto le domande fondamentali e necessarie per poter prendere la decisione che ha cambiato e salvato l’identità del popolo ebraico, noi, nel nostro piccolo, siamo stati chiamati a prendere decisioni che salvassero non solo la salute quotidiana dei nostri studenti, ma anche la loro giovinezza, l’esperienza positiva di una identità ebraica quotidiana all’interno di una scuola ebraica d’Europa e, last but not least, abbiamo dovuto pensare al miglior modo per donare ai nostri studenti una “normalità” in un’epoca totalmente straordinaria e decisamente impegnativa. Quando parlo di normalità intendo dire che abbiamo dovuto immaginare la giornata dello studente pensando ai luoghi, ai momenti, ai corridoi, alle aule, alle scale, ai laboratori, alle ricreazioni a rischio di contagio. Non abbiamo potuto, né voluto, rinunciare a tutto questo, malgrado il Covid. Perché ogni bambino, ogni adolescente della nostra scuola deve avere, insieme alla mascherina sul suo viso, la tranquillità di una scuola, ovvero uno spazio di vita serena. Una scuola ebraica in tempo di Covid è un elemento di serenità per una intera comunità, perché l’impegno per una nuova generazione di ebrei consapevoli non è solo una dichiarazione retorica e politicamente valida, ma deve essere un gesto quotidiano.

     

    Così, quotidianamente, il centro Ibn Gabirol si è trasformato in uno spazio con diffusori di gel idroalcolico, con indicatori di senso di marcia, di banchi e sedie messi a distanza di un metro e mezzo, di turni di pranzo a mensa con distanza e con divieti. Allo stesso tempo tutti questi elementi non hanno cancellato, anzi hanno dato un nuovo senso di forza identitaria a molti luoghi e tempi scolastici come la tefillà del mattino con il hazan che prega con il microfono come “Madonna” (cit. di uno dei nostri alunni del liceo), come lo studio in aula, come la necessaria socialità nel tempo della ricreazione, come il bisogno di risate in mensa lamentandosi del cibo della scuola, perché dai dieci ai diciotto anni ci si deve lamentare del cibo della scuola. E’un dovere e un diritto di ogni alunno al mondo. Ed in quanto educatori noi dobbiamo poter garantire anche questo. Ma se il nostro modello ispiratore è rabbi Yochanan ben Zakai, non abbiamo dimenticato l’identità ebraica della nostra scuola e ci siamo posti le domande ebraiche che ogni genitore, ogni nonno, ogni maestro ebreo si sarebbe posto: “Come assicurare il profondo valore dell’esperienza ebraica delle festività vissute a scuola? Delle attività di educazione informale per Rosh HaShana, Sukkoth, Channuka, Pesach? Come organizzare una festa “Covid free” per Purim?” Abbiamo dovuto imparare a pensare ed educare diversamente, e a tradurre in termini e metodologia ebraica i concetti di “gruppo di contatto”, “capsula di classe”, “gruppo di convivenza stabile”, dislocando le celebrazioni di una festività in vari gruppi con la giusta distanza di tempo e di spazio. La domanda che dovremmo porci in questo momento è: “Quali sono i gesti ebraici che daranno ai nostri alunni e figli la giusta sensazione che la vitalità dell’ebraismo non può essere annullata da una pandemia?”  E la risposta si può trovare solo nella scuola che funzioni malgrado tutto, nell’insegnamento con una profonda attenzione alle norme sanitarie, nella resistenza attiva dello studio e della esperienza ebraica, della formazione culturale e religiosa di una generazione che non può essere relegata all’ultimo posto delle necessità di una società intera, così come di una comunità ebraica.

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